Page 2296 - Shakespeare - Vol. 2
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che è sempre stato: farabutto simpatico e carismatico, mentitore spaccone
          che  implica  sempre  una  sua  inedita  verità,  delinquente  incallito  ma,  in  un
          regno  che  è  una  combutta  di  ladri  e  truffatori  (così  dice  per  l’Enrico IV  lo
          storico W.R. Elton), sacer come lucido testimonio e capro espiatorio, canaglia

          dotata di coscienza e rimorso e non senza una sua innocenza tra infantile ed
          animalesca: una forza della natura.
          La nuova commedia, che non si limita a questo tema, ma presenta un mondo
          con motivi e risonanze aristofaneschi, machiavellici, jonsoniani, coglie Falstaff

          nel  meriggio  della  sua  vita  irregolare,  «sul  viale  del  tramonto»,  in  una
          variante  del  suo  «mito»  che  vede  il  gran  saltafossi  alle  prese  coi  problemi
          della  decadenza  fisica  e  mentale,  della  solitudine,  del  fallimento  e  della
          sopravvivenza.  Il  suo  declino  è  reso  più  triste  dalla  gaiezza  della  nuova

          generazione che lo circonda, in un ambiente che certo non è più il suo: una
          generazione di ricchi borghesi puritaneggianti, in una piccola città di provincia
          il  cui  ordine  il  vecchio  nobile  venuto  da  fuori  osa  tentare  di  sconvolgere
          proprio nei valori custoditi e coltivati più gelosamente (l’onestà delle mogli,

          l’onore familiare, il possesso, i soldi!), per cui viene castigato duramente e
          alla  fine  simbolicamente  «represso».  Col  giovane  mastro  Fenton,  Falstaff  è
          l’unico  aristocratico  nel  mondo  delle  gaie  mogli  di  Windsor,  ed  anche  il
          signorino Fenton, squattrinato e tenuto a bada come lui (e con un passato

          d’intemperanze  che  vagamente  li  associa),  incomincia  a  corteggiare  la
          giovane  Anna  Page  per  motivi  venali,  ma  poi,  come  dichiara,  scopre  la
          potenza dell’antico demone Eros. Così, a modo suo, avviene a Falstaff, e il
          suo mutamento è testimoniato dalla differenza tra i suoi primi progetti cinici

          di conquista delle comari come mezzi per arrivare alle borse dei mariti, e le
          sue riflessioni che divengono sempre più dongiovannesche e sensuali, fino al
          grande  monologo  dell’incontro  notturno  nel  parco,  che  è  un  vero  inno  ed
          omaggio all’amore pagano, e alla potenza di Eros. Ma Fenton ha indosso «il

          profumo di aprile e maggio», mentre Falstaff è ricoperto dal sale del tempo.
          Alle  sue  spalle  ha  il  «tradimento»  del  suo  principe  Hal,  la  rinuncia  alla
          vocazione  di  favorito  della  luna,  l’allontanamento  dalla  corte,  l’abbandono
          d’una  vita  aristocratica  in  rapporto  con  principi  e  mendichi.  In  un  clima  di

          invernale e reumatica primavera inglese, egli s’è ridotto in una cittadina dove
          si può annusar da lontano il profumo della corte che sta su in castello, e una
          corte non più dei suoi tempi, con la quale non ha più nulla a che fare, ché a
          bazzicarla è Caio, il cerusico francese di moda. Il nuovo Falstaff, personaggio

          d’una commedia che è in parte la tragicommedia della sua vecchiaia, è un
          beone solitario che litiga quasi con tutti e prima o poi è abbandonato quasi
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