Page 2295 - Shakespeare - Vol. 2
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PREFAZIONE







          Le allegre comari di Windsor nasce attorno alla fine del ’500 sotto una stella

          ambigua.  Sir  John  Falstaff,  il  giudice  Shallow,  Mrs  Quickly,  trasferiti  dai
          bassifondi  di  Londra  e  dalle  campagne  del  Gloucestershire  alle  stradine  di
          Windsor,  se  da  una  parte  rappresentano  il  fortunato  sfruttamento  d’un

          successo teatrale precedente, dall’altra saranno uno svantaggio per le fortune
          della  commedia.  Perché  impongono  un  confronto  con  le  scene  potenti  e
          terribili dominate da Falstaff nell’Enrico IV. Ed è un rinvio, una «dipendenza»
          che dai romantici in poi han costituito un pregiudizio critico nei confronti delle
          Comari, costretta nell’ombra di quella grande opera, mentre essa si regge da

          sé  come  commedia  magnificamente  scritta,  efficace,  esilarante,  pensosa,
          abile tecnicamente, e con un Falstaff che non v’ha perso, sebbene lo mostri
          attenuato per l’età e quasi inoperante sui borghesi di Windsor, il suo fascino

          misterioso.
          Proviamo un momento a prendere per verità l’aneddoto secondo il quale fu la
          stessa regina Elisabetta, ammiratrice del primo Falstaff, a commissionare la
          commedia  all’autore,  esprimendogli  il  desiderio  di  «vedere  Falstaff
          innamorato».  Allora  bisogna  pur  dire  che  Shakespeare  svolse  la  sua

          commissione  in  modo  geniale,  scegliendo  di  mostrare,  non  come  hanno
          creduto a lungo i critici, l’innamorarsi improbabile del personaggio dei drammi
          storici, e nemmeno soltanto, come ribattono critici più recenti e a volte più

          ben  disposti,  il  finto  innamorarsi  a  scopi  venali  di  un  farabutto  libertino
          negato  all’amore  sincero;  ma  quasi  giocando  sul  vasto  significato  o  sulla
          carenza di significato della parola «amore», l’amor venale e sensuale, l’amore
          senile di un vecchio che già aveva mostrato «tartassato dall’antichità» (ma
          col vezzo di posar da giovane), e che nella nuova commedia va letteralmente

          a pezzi. Il secondo Falstaff ha col primo Falstaff il libero rapporto intertestuale
          che  ogni  creazione  artistica  ha  con  altre  creazioni.  Ciò  che  Shakespeare  ci
          mostra  nelle Allegre comari è la passione certamente recitata e venale, ed

          anche  (a  sentire  il  discorso  sotto  il  discorso  che  è  nella  natura  del  mezzo
          teatrale) la passione sensuale, egocentrica, vanitosa, immorale, illegale (per
          la  prima  volta  nel  suo  teatro)  e  ancora  coatta,  illusa,  pietosa,  sofferta,
          mazzolata,  scornata,  e  alla  fine  quasi  dongiovannescamente  testarda  e
          tenace e disposta ai rischi nel tentativo infelice d’una doppia conquista, di un

          vecchio impunito della stazza del suo cavaliere. Il quale è l’ossimoro vivente
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