Page 2297 - Shakespeare - Vol. 2
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da  tutti,  un  povero  vecchio  angustiato  dalla  mancanza  di  denaro  e  dalla
          carenza, possiamo supporre, di altri umani soddisfacimenti, un grassone dal
          fiato corto frastornato anche dalle buone notizie e facilmente raggirato, che
          deve  licenziare  i  suoi  bravi  per  far  bastare  l’appannaggio  reale,  e  che  ha

          perso l’antica lucidità, la fulminea capacità di reagire ad uno smascheramento
          o uno scacco, e la capacità di identificarsi in pieno col proprio destino: la sua
          riflessione,  «vecchio  Jack  segui  il  tuo  destino»,  è  ripresa  a II,  ii  della
          commedia in quel «vai per la tua via» che sarà di fama verdiana, ma essa nel

          nuovo contesto non è più che l’espressione vanitosa e pietosa d’un vecchio
          affamato di gioie e di attenzioni femminili, una pura illusione. Per richiamare
          il canto del becchino nell’Amleto, la vecchiaia dal passo ladro l’ha preso nella
          sua  grinfia,  gli  infligge  le défaillances che  ci  fan  ridere  nella  commedia,  e

          infine lo stende in terra, come non fosse mai stato il Falstaff di una volta.
          Shakespeare l’ha calato nel ruolo, letterario ma riportato a vita, del vecchio
          colpito da Eros, e beffato dai giovani, della commedia plautina e della Clizia
          di  Machiavelli;  e  attorno  alla  sua  ambigua  mole  (che  esprime  eccesso  ma

          anche  rassicura,  dacché  come  si  dice  l’uomo  grasso  è  bonario  e  innocuo)
          aleggia un tono insieme allegro e mesto e anche, mi pare, pietoso e sinistro,
          che funziona da contrappunto all’allegria del titolo ed è lontano dalle solite
          messinscene, nonché da quell’eterna scaturigine d’ironia e di beffa romantica

          che Arrigo Boito ha visto in lui, utilizzando una sua battuta dei bei tempi del
          vecchio re Enrico («Io non sono soltanto arguto, ma la causa che l’arguzia è
          negli altri», in Enrico IV, parte seconda, I, ii, 9-10).
          In  questa  sua  comica  e  non  allegra  condizione  il  nuovo  Falstaff  scende  in

          campo, non meno incosciente e cieco d’un eroe tragico ma per motivi assai
          meno degni, contro quel mondo di piccoli borghesi benestanti e affamati di
          denaro che forma lo «zoccolo duro», la spina dorsale dell’Inghilterra «sana e
          bempensante», proprio una delle matrici e dei ceppi della futura Inghilterra

          puritana:  un  mondo  che  ha,  diciamo,  tutte  le  virtù  e  i  vizi  del true-born
          Englishman, un mondo che Shakespeare, sotto la sua patina di conformismo
          «nicodemista», che sarà valsa per lo Establishment e per gran parte del suo
          pubblico,  guarda  con  l’occhio  cosmico,  malizioso  e  spietato  della  grande

          tradizione comica (e di Rabelais). La commedia s’imposta sul conflitto comico
          tra  quei  due  poli,  Falstaff  e  Windsor,  ciascuno  dei  quali  tenta  di  beffare  e
          controbeffare l’altro: e per tre volte Falstaff ne esce malamente scornato. E
          anche nei due intrecci-conflitti tra i borghesi, quello che ha al centro Anna

          Page e quello a spese di Caio ed Evans, che poi controbeffano l’oste della
          Giarrettiera, alcuni tentati raggiri si risolvono nel raggiro dei raggiratori, per
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