Page 2286 - Shakespeare - Vol. 2
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116 III, ii, 74-84 Si noterà come in questi pochi versi Antonio abbia trovato il modo di far martellare il
                 nome di Cesare ben cinque volte.
            117 III,  ii,  85-87  Pone  a  confronto  due  prospettive  su  Cesare:  la  sua  e  quella  di  Bruto.  Prospettive,
                 appunto; non fatti o giudizi definitivi. Certo, la prospettiva di Bruto è ancora privilegiata, perché Bruto
                 è uomo d’onore; ma allora Antonio, che sostiene il contrario, non sarebbe uomo d’onore? Antonio
                 non si spinge oltre: da abile oratore, non si difenderà direttamente, ma otterrà il proprio scopo in
                 maniera obliqua. Facendo uso soprattutto di figure come la litote (negazione usata per affermare) e
                 l’ironia (affermazione usata per negare). La principale ironia risulterà proprio il ripetuto asserto Brutus
                 is an honourable man, che sarà il popolo a rovesciare nel suo contrario (al v. 153), capovolgendo,
                 con ciò, anche la proposizione che Bruto ha sostenuto, e cioè che Cesare fosse ambizioso.

            118 III, ii, 104 Inevitabile sembra il rimando a Bruto di brutish (unito  a beasts): se il popolo non piange
                 Cesare, il popolo che ha avuto ogni ragione per amarlo, quel popolo è diventato “bestiale” proprio
                 perché ha sposato la causa di Bruto e si è fatto popolo di Bruto, e popolo di bruti.
            119 III, ii, 107 Se Bruto aveva fatto a sua volta una pausa, dopo aver argomentato le proprie ragioni,
                 una pausa in attesa di risposta (I pause for a reply), e quindi una pausa all’interno di un contesto
                 razionale,  Antonio,  mostrandosi  sopraffatto  dall’emozione,  dice  di dover fare  una  pausa  (I  must
                 pause)  in  un  contesto  passionale.  La  sua  sospensione  è  altamente  emotiva,  e  quindi  chiama  la
                 partecipazione emotiva del popolo, che è scosso e comincia a spostarsi dalla sua parte, soprattutto
                 in quanto subisce la forza della sua passione (cfr. vv. 115-116).
            120 III, ii, 156 Il popolo lo costringe a fare ciò che lui con grandissima abilità lo ha costretto ad esigere.
                 È il trionfo di Antonio, il quale tuttavia non leggerà subito il testamento, ma continuerà a muovere le
                 passioni  del  popolo  facendogli  addirittura  dimenticare  che  c’è  un  testamento.  È  tutto  un  gioco  di
                 negazioni  e  affermazioni,  ipotesi  e  smentite,  in  cui  Antonio  dà  sempre  l’impressione  di  essere
                 trascinato, ben al di là di quanto vorrebbe, sia dalla sua straripante emozione che dalla emozione,
                 apparentemente da lui incontrollata, del popolo. Sembra alla deriva nel flusso della storia, mentre
                 invece la sta facendo virare decisamente dalla parte del cesarismo.

            121 III,  ii,  159-160  Nel  mescolarsi  alla  folla  −  cosa  che  nessuno  dei  personaggi  elevati,  neanche  i
                 repubblicani,  e  neanche  i  tribuni  della  plebe,  fa  in  questo  dramma,  che  pure  dovrebbe  essere  il
                 dramma  del  popolo  contro  il  tiranno  −  Antonio  chiede  un  preventivo  permesso,  che  il  popolo
                 concede con ingenua presunzione di sovranità.
            122 III, ii, 194 Finora Antonio ha lavorato le emozioni del popolo mostrando il mantello di Cesare, i buchi
                 e le lacerazioni e il sangue della carneficina, e ha usato parole forti e nello stesso tempo precise.
                 Adesso,  scoprendo  il  corpo  di  Cesare,  usa  una  qualificazione  apparentemente  un  po’  sfocata: to
                 mar significa ‘rovinare’, ‘sfigurare’, ‘deturpare’. Shakespeare usa questo verbo soltanto al participio
                 passato e spesso in riferimento ad oggetti segnici: discorso, scrittura, o un dramma (per esempio, il
                 dramma che i popolani vogliono recitare nel Sogno di una notte di mezza estate). In questa luce, il
                 verbo risulta di particolare pregnanza anche per il fatto di essere accompagnato dalla preposizione
                 with (adatta al complemento di compagnia) e non dalla più propria preposizione del complemento
                 d’agente (by): il corpo di Cesare, il segno stesso del Cosmo Simbolico, è stato sfigurato dai traditori,
                 ma  è  anche  stato  scarabocchiato  con  i  tratti  (traits,  parola  che  può  affiorare  in traitors)  della
                 scrittura profana, della scrittura antisimbolica. La deturpazione fisica acquisterebbe, secondo questa
                 interpretazione,  una  più  alta  valenza  segnica.  Data  l’importanza  del  Nome  in  questo  dramma,  e
                 soprattutto di quello di Cesare (si ricordi il confronto che Cassio aveva fatto del nome di Cesare e di
                 quello  di  Bruto  in I,  ii),  si  può  vedere  nella  combinazione  di marred con with la  figura  segnica  di
                 Cesare morto che porta inscritti gli sfregi dissacranti dei traditori, scarabocchi su quello che resta per
                 Antonio l’unico Simbolo, l’unico garante di Senso per il mondo romano.

            123 III, ii, 203-216 Qui, come in molti altri passi precedenti, emerge in modo chiaro l’uso (litotico) della
                 negazione  che  serve  ad  affermare  tramite  il  contrario:  Antonio  finge  di non voler  sconfessare  i
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