Page 2289 - Shakespeare - Vol. 2
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simile a quella impiegata due volte da Antonio nella scena precedente a proposito di Lepido, visto
                 prima come asino e poi come cavallo, corpo bruto che il cavaliere piega sempre al proprio volere.
            138 IV,  ii,  54-55  L’episodio  è  narrato  da  Plutarco,  nella Vita  di  Bruto,  come  tanti  altri  fatti  che
                 Shakespeare di lì riprende per costruire questi ultimi due atti. Nella traduzione di North, si legge che
                 Lucio  Pella  fu  condannato  per robbery e  pilferie ai  danni  degli  abitanti  di  Sardi.  Shakespeare
                 interpreta  questi  termini  come  ruberie  consistenti  in  compensi  illeciti  (bustarelle,  si  direbbe  oggi)
                 estorti ai Sardiani col ricatto.

            139 IV, ii, 61-64 In vari punti dell’ultima parte della Vita di Bruto Shakespeare trovava indicazioni esplicite
                 di  Plutarco  circa  l’avidità  di  Cassio,  sempre  pronto  al  saccheggio  e  alla  estorsione  di  denaro  dalle
                 popolazioni dei paesi che attraversava con il suo esercito.
            140 IV, ii, 67-68 Ancora una volta emerge il paradigma del nome, così centrale in questo dramma. Qui,
                 con amara ironia, Bruto dichiara che il nome di Cassio − colui che si era battuto contro il nome di
                 Cesare, contro il significato simbolico che esso aveva assunto − copre il disonore di una condotta
                 riprovevole.

            141 IV, ii, 75 Tutto il senso, e molte delle stesse parole, di questa battuta sono ricavati da Plutarco; e
                 così  emerge  questo  addebito  a  Cesare  che  non  era  stato  menzionato  prima:  Cesare  non  fu
                 colpevole di ruberie o di sopraffazioni in prima persona, ma tollerò che altri, vicini a lui, compissero
                 queste cattive azioni.
            142 IV, ii, 80-82 Anche qui la metafora è quella del bear baiting, verosimilmente originata dal dog del v.
                 79, il cane che Bruto preferirebbe essere piuttosto che un romano corrotto.
            143 IV,  ii,  84 To  make  conditions :  variamente  chiosata  come  ‘condurre  affari’  o  ‘stringere  patti’,
                 l’espressione  sembra  riferirsi  agli  addebiti  che  sono  stati  mossi  a  Cassio,  di  essere  avido,  di
                 mercanteggiare cariche, di coprire soprusi. Cassio rivendica la sua capacità pragmatica di arrangiare
                 ogni cosa quando ce n’è bisogno, come ora, in guerra.

            144 IV,  ii,  99  Più  specificamente,  l’atrabile,  secreta  dalla  milza,  che  era  considerata  dalla  fisiologia  del
                 tempo l’organo in cui si creava l’umore delle passioni violente.

            145 IV, ii, 100-101 Bruto riduce così Cassio allo stato di fool, clown; è il massimo insulto possibile per un
                 personaggio che si vuole eroico.

            146 IV, ii, 117-134 È, questa, la battuta più ambigua di Bruto in tutto il  dramma.  All’inizio,  infatti,  egli
                 rivendica  la  propria  assoluta  onestà,  ma  poi  si  lamenta  del  fatto  che  Cassio  gli  abbia  rifiutato  il
                 denaro necessario a pagare le sue legioni, in quanto egli non è capace di procurarselo per conto suo
                 con mezzi illeciti estorcendolo alla povera gente. Dunque, sarebbe stato pronto ad accettare, e anzi
                 ha addirittura richiesto, denaro sporco all’amico, e tuttavia si vanta della propria onestà. È un trucco
                 morale che lo segna come personaggio in questa scena in cui, come s’è detto, l’ideale deve fare i
                 conti con la realtà.
            147 IV,  ii,  160  Questo  sembra  essere  il  senso  del  criptico dishonour  shall  be  humour:  il  disonore,  la
                 condotta disonorevole di Cassio saranno interpretati da Bruto non in sé e per sé ma come frutto del
                 cattivo  umore,  del  capriccio  di  un  momento.  Bruto  è  chiaramente  turbato,  forse  dalla  teatrale
                 manifestazione di affetto di Cassio, forse dalla sua stessa obliqua compromissione morale nella sua
                 lunga battuta precedente, e certamente, come rivelerà ai vv. 194 e sgg., dalla notizia del suicidio
                 della moglie.
            148 IV,  ii,  183  L’episodio  è  ripreso  fedelmente  da  Plutarco,  che  tuttavia  individua  questo  personaggio
                 come tale Marco Faonio, uno strambo filosofo cinico. Shakespeare ne fa un poeta − anche se è un
                 poeta  che  rima  malamente,  come  osserva  Cassio  −  forse  perché  Plutarco  gli  fa  recitare,
                 nell’occasione, dei versi di Omero, o forse perché, dopo l’introduzione del poeta Cinna in III, iii, lo
                 schema a lui caro del parallelismo poteva indurlo a presentare un secondo poeta: il primo è ucciso, il
                 secondo deriso. Vien da pensare ad una sorta di autocitazione ironica dell’artista, in questo dramma
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