Page 2282 - Shakespeare - Vol. 2
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83 III,  i,  24-30  È  chiaro  in  questi  versi  come  la  scena  che  porterà  all’uccisione  di  Cesare  sia  stata
                 accuratamente  preparata  dai  congiurati:  Trebonio  deve  portar  via  Antonio,  Metello  Cimbro
                 presentare  la  sua  supplica,  tutti  quanti  devono  serrarsi  intorno  a  Cesare  fingendo  di  appoggiare
                 quella  supplica,  a  cui  sanno  che  Cesare  non  potrà  rispondere  che  negativamente,  e  allora  Casca
                 dovrà  sferrare  il  primo  colpo.  Tutti  dovranno  recitare  una  parte,  e  Cesare,  per  conto  suo,  sarà
                 costretto, dal ruolo che ricopre, a recitare la propria. La Storia, sempre di più, si fa scena, teatro.
                 Non a caso, in questo terzo atto saranno fittissimi i riferimenti metateatrali.
              84 III,  i,  35-48  Cesare  non  sopporta  l’adulazione  manifesta  ed  eccessiva,  mentre  forse  −  come
                 suggeriva,  con  grande  acutezza  psicologica,  Decio  Bruto  in II,  i,  203-209  −  gradisce  l’adulazione
                 indiretta  e  nascosta.  Sollecitato  dalla  recitazione  dei  congiurati,  ribadisce  il  suo  ruolo  altissimo  e  la
                 irremovibilità  delle  proprie  decisioni,  con  un  disprezzo  e  un’alterigia  che  serviranno  appunto  a
                 giustificarne l’assassinio.
              85 III, i, 58-73 È l’ultimo discorso di Cesare, un discorso sul Cosmo Simbolico, e sulla funzione del capo
                 assoluto, del re, in quello. Secondo le tipiche corrispondenze tra mondo politico e macrocosmo, così
                 come avviene nei cieli, dove il sole, o la stella polare, si distinguono dai pianeti e da tutte le altre
                 stelle per la loro funzione unica e insostituibile (il sole come datore di luce e di vita, la stella polare
                 come simbolo di fissità, e quindi di riferimento), tra gli uomini si deve dare una gerarchia immutabile
                 in  cui  al  capo  compete  la  funzione  di  rappresentare,  nella  mutabilità  del  tempo  e  della  storia,
                 l’immutabilità di un Ordine trascendente. L’enfasi cade pertanto, ripetutamente, sul non mutamento
                 del  capo,  proiezione  dell’eterno  nel  mondo,  del  motore  immoto  nella  mutevolezza,  adibito  a
                 riscattare il transeunte, il piano orizzontale della storia (che è proprio il campo, oppositivamente, della
                 ideologia repubblicana): si vedano l’enfasi sull’aggettivo constant (vv. 60, 72, 73) e le specificazioni
                 one in all doth hold his place, unassailable holds on his rank, Unshaked of motion.
              86 III,  i,  77  La  prima  versione  di  queste  ultime  parole  di  Cesare  a  Bruto  si  deve  probabilmente  a
                 Svetonio che, nella Vita dei Cesari, narra come, di fronte all’attacco del prediletto Bruto, Cesare gli
                 disse in greco: «Anche tu, figlio mio?». La frase, volta in latino, Et tu, Brute, fili mi, si ritrova in varie
                 opere del Rinascimento, e da qualcuna di esse, piuttosto che direttamente da Svetonio, poté trarla
                 Shakespeare. Si noterà, comunque, che egli omette il fili mi, che rifletteva l’antica tradizione per cui
                 Bruto  sarebbe  stato  figlio  illegittimo  di  Cesare,  tradizione  accreditata  anche  da  Plutarco,  nella  sua
                 Vita di Bruto, quando racconta che, dopo la vittoria di Farsalo, Cesare non punì Bruto per essersi
                 schierato  dalla  parte  di  Pompeo,  e  anzi  gli  offrì  cariche  e  onori,  per  riguardo  alla  madre  di  Bruto,
                 Servilia,  con  la  quale  aveva  avuto  un  rapporto  giovanile  di  grande  amore  proprio  al  tempo  della
                 nascita di Bruto − e la coincidenza temporale l’aveva persuaso di esserne il padre. Shakespeare non
                 fa menzione esplicita di questo possibile strettissimo rapporto di parentela fra i due, e omette il fili
                 mi. Ciononostante, il rapporto fra i due antagonisti politici e ideologici è anche un rapporto padre-
                 figlio,  sia  pure  su  un  piano  simbolico  più  che  letteralmente  parentale,  come  potremo  vedere  fra
                 poco.

              87 III, i, 85 Un vecchio senatore rimasto indietro nella ressa e nella fuga generale.
              88 III,  i,  99-100  Una  delle  molte  riflessioni  di  Bruto  che  sembrano  anticipare  Amleto,  la  cui  tragedia
                 Shakespeare scrisse solo un anno o due dopo questo dramma.
              89 III, i, 105-107 Bruto chiama i suoi compagni ad un atto rituale, di antica pregnanza antropologica.
                 Che è forse riconducibile al mito dell’assassinio del padre nell’orda primitiva, di cui doveva parlare,
                 secoli  dopo,  Freud  (in Totem e tabù) attribuendo al senso di colpa per tale atto l’origine dei tabù
                 dell’incesto  (e  dello  stesso  complesso  edipico)  e  della  messa  a  morte  del  totem:  in  un  dramma
                 antichissimo tra generazioni, i figli avrebbero ucciso il padre e poi sarebbero stati presi dal rimorso,
                 cercando  di  scontare  il  delitto  effettuando  una  idealizzazione  della  figura  del  padre  e,  tuttavia,
                 rimanendo sempre nella paura della sua punizione. O che forse è riconducibile, come vogliono alcuni
                 commentatori,  all’uso  altrettanto  antico  dei  cacciatori  di  bagnarsi  nel  sangue  degli  animali  uccisi  a
                 scopo propiziatorio. Fortissima rilevanza simbolica ha comunque questa pausa nell’azione, che andrà
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