Page 2285 - Shakespeare - Vol. 2
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logica: hear me (A) and be silent  (B) that you may hear  (A); Believe me  (A) for mine honour (B)
                 and have respect to mine honour  (B) that you may believe  (A); Censure me  (A) in  your  wisdom
                 (B) and  awake  your  senses  (B) that  you  may  the  better  judge  (A).  L’effetto  perlocutorio  è
                 predeterminato a livello razionale: ascoltare Bruto  significa credere nel suo onore e quindi giudicare
                 onesta  la  sua  azione.  La  dimostrazione  viene  quindi  sviluppata  per  mezzo  di  ipotesi,  domande
                 retoriche e parallelismi.
            107 III, ii, 24-26 Al termine di quattro brevi frasi parallelistiche, Bruto presenta il punto centrale del suo
                 discorso: ha ucciso Cesare soltanto a causa della sua ambizione.
            108 III, ii, 26-28 Quattro repliche nominali parallelistiche reduplicano le quattro frasi verbali appena viste.
                 Come si vede, l’orazione di Bruto è scandita con rigore geometrico.
            109 III, ii, 28-33 L’orazione si chiude con tre domande seguite da tre ipotesi e da tre affermazioni, in
                 stretto parallelismo fra di loro. Pur nel suo stile asciutto, Bruto dimostra una notevole abilità retorica:
                 sfida a parlare il suo nemico potenziale in mezzo alla folla; ma quello, se c’è, non si farà mai vivo,
                 perché viene convocato nel segno della bassezza e della barbarie (base, rude, vile).

            110 III, ii, 35 Then è la formula tipica della conclusione di un sillogismo o di un’intera argomentazione. Il
                 teorema di Bruto è stato accettato dalla folla, e quindi convalidato: se Bruto non ha offeso nessuno,
                 allora  Bruto  ha  fatto  quello  che  doveva  fare,  date  le  varie  premesse  e  soprattutto  la  maggiore
                 (Cesare era ambizioso e quindi, per il bene comune, Bruto lo ha ucciso).
            111 III, ii, 36 Cioè, se Bruto si comporterà a sua volta in maniera non democratica.
            112 III, ii, 47-52 Bruto ha promesso un posto nella repubblica non solo ad Antonio ma ad ogni singolo
                 cittadino. E il popolo ora si scatena nella esaltazione simbolica del nuovo capo: gli decreta il trionfo,
                 l’onore di una statua fra i suoi antenati (e si ricordi che, all’inizio del dramma, le statue di Cesare
                 avevano assunto una forte pregnanza rituale e politica), e, quel che è più, vuole che egli ora sia
                 Cesare (il nome proprio si è già trasformato in denominazione di un ruolo − come avvenne, di fatto,
                 storicamente  per  tutti  gli  imperatori  di  Roma),  e  che  il  meglio  del  vero  Cesare  morto  venga
                 incoronato in Bruto. Si tratta di una fortissima ironia drammatica: il popolo era incerto se concedere
                 o meno la corona a Cesare; interviene la congiura repubblicana e Cesare muore; Bruto mostra nella
                 sua  orazione  perché  si  doveva  uccidere  Cesare,  il  quale  poteva  trasformarsi  in  tiranno;  il  popolo
                 decreta che sia lui il nuovo Cesare.
            113 III, ii, 73 Come già Bruto, anche Antonio esordisce con l’invito a stabilire il contatto (funzione fàtica
                 del linguaggio). Ma non insisterà su questo punto, sia perché il suo discorso sarà così travolgente da
                 impedire qualsiasi distrazione, sia perché egli farà ricorso soprattutto ad altre funzioni del linguaggio
                 (come quella emotiva e quella conativa).

            114 III, ii, 75-76 Simile constatazione è proverbiale. Antonio la usa proprio perché è di dominio comune,
                 e rappresenta in ogni caso una ingiustizia. Ingiustizia che, al verso successivo, concede che venga
                 compiuta anche per Cesare, intendendo naturalmente il contrario. Ma tutto il suo discorso sta tra
                 un’affermazione e il suo rovesciamento. Subito dopo aver dichiarato che non è venuto per lodare
                 Cesare, ne inizia obliquamente la celebrazione. Celebrazione che è necessaria per non commettere
                 una  ingiustizia:  se  Cesare  ha  fatto  del  male,  come  gli  altri  hanno  già  detto,  egli  tuttavia  ha  fatto
                 anche del bene, e non sarebbe giusto seppellire quel bene insieme alle sue ossa.
            115 III, ii, 77-78 Antonio sceglie di non parlare subito del bene fatto da Cesare, preferendo venire subito
                 al male; e quel male è tutto racchiuso, non già in prove tangibili di tirannia e di prevaricazione, non
                 già in fatti avvenuti e quindi incontestabili, bensì in intenzioni non ancora realizzate, in virtualità tutte
                 da verificare: Cesare era ambizioso, e prima o poi l’avrebbe dimostrato nei fatti comportandosi da
                 tiranno.  Questo  è  l’argomento  del  «nobile»  Bruto  (argomento  appena  esposto  dallo  stesso
                 personaggio e, come abbiamo visto, da lui dibattuto nel monologo all’inizio di II,  i);  rovesciandolo,
                 Antonio dimostrerà la non nobiltà di Bruto e la non ambizione di Cesare.
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