Page 2280 - Shakespeare - Vol. 2
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Cassio,  in I,  iii,  68  e  71,  dove  si  dibatteva  sullo  statuto  e  sulla  ragione  dei  prodigi  nella  notte  di
                 tempesta, e Cassio aveva rovesciato l’interpretazione di Casca (che li vedeva come moniti del cielo
                 a non rompere l’ordine costituito) sostenendo che quei prodigi − non a caso, monstra in  latino  −
                 andavano a colpire qualcosa di attuale e non di futuro, lo stato in quanto retto da Cesare tiranno.
                 Ora  Bruto  sposta  di  nuovo  il  senso,  dalla  parte  della  interpretazione  di  Casca,  e  censura  la
                 cospirazione nel momento in cui si accinge a guidarla! Preso in questa contraddizione, non può allora
                 che accedere al modo di Cassio, alla strategia machiavellica per cui l’azione deve  mascherarsi.  La
                 sua razionalità, e onestà, ne esce sconfitta: la simulazione è inevitabile nel farsi della storia, che è
                 comunque gioco di potere. E più avanti (vv. 225-229) sarà Bruto stesso ad invitare i congiurati a
                 comportarsi  da  attori,  a  simulare  e  dissimulare.  Ma  per  quanto  riguarda  lo  spazio  “teatrale”
                 dell’azione politica, e la relativa retorica di finzioni, rimando alla Prefazione.

              68 II, i, 105-111 Questo puntare la spada da parte di Casca (che sarà il primo, ricordiamolo, a colpire
                 Cesare) verso l’oriente, e verso il Campidoglio che si troverebbe in quella esatta direzione, e che
                 sarà  il  luogo  dell’assassinio,  assume  nella  fitta  e  complessa  tramatura  del  dramma  un  valore
                 simbolico di premonizione, costituendo una sorta di anticipazione di un gesto rivolto qui contro il sole
                 (a indicare il sole), e tra poco contro Cesare, il quale, nella rete di corrispondenze culturali del tempo,
                 in quanto re o futuro re, equivaleva appunto al sole.
              69 II, i, 114 Il senso sembra chiaro, anche se qualche editore ha ritenuto di dover emendare face con
                 faith: l’espressione del volto della gente sotto la tirannia.
              70 II, i, 114-140 A parte l’orazione del terzo atto, questa battuta è la più lunga che Bruto abbia nel
                 dramma. Il fatto che, alla proposta di un giuramento, egli si scateni in una  tale  serie  di  invettive
                 contro chiunque sia così debole da doversi impegnare con un simile atto simbolico, è evidentemente
                 significativo.  Rivela  la  sua  intransigenza  verso  qualsiasi  forma  di  debolezza,  verso  qualsiasi
                 imperfezione − e ciò lo colloca al di fuori della comune umanità. L’imperfezione riguarda le passioni, i
                 movimenti emotivi, l’incostanza delle psicologie, tutti aspetti dell’uomo che egli rifiuta nel nome della
                 ragione  e  della  ideologia  repubblicana.  Se giuramento,  secondo  la  definizione,  ad  esempio,  del
                 Grande  dizionario  Garzanti  della  lingua  italiana  (1987),  è  una  «dichiarazione  solenne  con  cui  si
                 afferma la verità di una cosa o la sincerità di una promessa, chiamando a testimone la divinità o ciò
                 che più si rispetta o si ama», l’atto del giurare è sempre una triangolazione su un piano simbolico.
                 Ed è questo il piano che Bruto non accetta nel suo orizzonte, almeno fino alla fine, quando sarà
                 anch’egli ricatturato in una sia pur segreta accettazione del destino. La sua è la posizione dell’“uomo
                 nuovo”  che  vuole  spogliare  di  ogni  segno  di  cerimonialità  il  mondo,  nel  nome  della  ragione,  del
                 Logos, del controllo assoluto delle passioni. Ma quasi in ogni momento si vede come egli stesso non
                 riesca a controllare le sue passioni. Cerca sempre di dominarsi, tranne che in IV, ii, la scena del litigio
                 con Cassio, e tuttavia è trascinato da emozioni, e contraddizioni, segrete, represse.
              71 II,  i,  150-152  Anche  in  questo  caso  Bruto  oppone  un  intransigente  rifiuto  ad  una  proposta  che
                 ancora una volta è partita da Cassio. Plutarco motivava l’esclusione di Cicerone dalla congiura in altri
                 termini: egli era stato tenuto fuori non per decisione di Bruto, ma per decisione di tutti, in quanto era
                 ritenuto  un  codardo  per  natura  e,  con  la  sua  cautela  aumentata  negli  anni,  avrebbe  gelato
                 l’entusiasmo necessario all’impresa.
              72 II, i, 156-166 Questo è il terzo rifiuto di Bruto a Cassio, a significare che la congiura è ormai passata
                 nelle sue mani e che sarà lui a guidarla, sia nei fatti che nel modo e nel senso. Cassio dimostra, una
                 volta di più, un sicuro realismo politico, e quel che teme di Antonio puntualmente si avvererà; ma
                 Bruto  vuol  tenere  pura,  non  inquinata  da  alcunché,  la  cospirazione  (che,  pure,  di  per  sé  è
                 «mostruosa», anche nella sua prospettiva − come abbiamo appena visto), nel nome dell’Idea, e
                 non  di  qualsiasi,  pur  motivata,  opportunità  contingente.  E  in  questo  caso  Shakespeare  segue  da
                 vicino la narrazione di Plutarco, ma poi (vv. 167-184) rende assai più evidente e articolato l’idealismo
                 di Bruto: il terribile atto da compiere deve purtroppo passare per il corpo di Cesare, non può colpirne
                 lo spirito (che è lo spirito monarchico e assolutista) lasciandolo intatto; ma, se quell’atto deve essere
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