Page 2277 - Shakespeare - Vol. 2
P. 2277

rifiutò l’intero popolo batté le mani». Di qui poté nascere la lieve incongruenza.

              40 I, ii, 228-229 Casca ha colto il dramma del rifiuto di Cesare, che allontana da sé la corona sentendo
                 che  il  popolo  non  vuole  incoronarlo,  e  tuttavia  la  desidera.  Dietro  il  gesto,  Casca  ha  decifrato  il
                 senso, mentre il popolo ha compreso l’opposto.

              41 I, ii, 242-248 Altra indicazione del disgusto da parte di questi repubblicani (anche Casca entrerà nella
                 congiura, e sarà il primo a sferrare un colpo contro Cesare) nei confronti del popolo. Si noti, inoltre,
                 che l’acuto interprete Casca non capisce la ragione dello svenimento di Cesare attribuendola al fiato
                 della folla, mentre, come vedremo dal resto del racconto, quello svenimento è l’effetto del rifiuto
                 dell’oggetto desiderato (la corona), l’effetto della fortissima censura che Cesare si è imposto.

              42 I, ii, 252 Cesare, come narra Plutarco, soffriva di attacchi di epilessia, soprattutto quando doveva
                 parlare in piedi alla folla.

              43 I,  ii,  257-258  Una  delle  tante  immagini  teatrali  in  questo  dramma,  un’immagine  che  qui  serve  a
                 mettere in rilievo come la politica sia uno spettacolo e i politici siano attori, e le loro parole e i loro
                 gesti costituiscano una retorica di seduzione e di persuasione davanti ad un pubblico − pubblico che,
                 in un dramma eminentemente politico come questo, è innanzitutto il popolo.
              44 I, ii, 261-264 Dunque, prima di svenire, Cesare ha una specie di raptus emotivo, che Shakespeare
                 coglie  da  un  episodio  precedente  della Vita  di  Cesare:  in  Senato  gli  vengono  attribuiti  onori,  ma
                 Cesare  non  si  alza  in  piedi  e  risponde  che  i  suoi  onori  devono  essere  diminuiti  anziché  ampliati;  il
                 Senato  e  il  popolo  si  offendono;  Cesare  si  accorge  di  aver  sbagliato  e  avviandosi  verso  casa  si
                 scosta  la  veste  dal  collo  e  offre  la  gola  a  chiunque  voglia  tagliarla;  in  seguito  si  scusa  di  quanto
                 accaduto attribuendolo all’attacco della sua malattia, l’epilessia. Shakespeare mette insieme elementi
                 dei due episodi, che si rassomigliano in quanto in entrambi i casi Cesare rifiuta qualcosa che invece
                 vorrebbe.  E  la  sua  emozione,  per  il  terribile  contrasto  interiore,  è  tale  che  egli  si  spinge  fino  alla
                 autoimmolazione: paradigma sacrificale del capo che Shakespeare colse in Plutarco e svolse in più di
                 un  punto,  immettendolo  anche  nella  prospettiva  dei  repubblicani,  e  soprattutto  di  Bruto  (come  si
                 vedrà in II, i e in III, i).
              45 I, ii, 266-269 Notazione psicologica di finezza prefreudiana: Cesare sviene, e, quando si riprende, la
                 prima cosa di cui si preoccupa è di sapere se, nel momento dell’incoscienza, sia emerso qualcosa
                 del  suo  conflitto  profondo,  del  suo  desiderio  indicibile,  e  cerca  di  ingraziarsi  la  folla  chiedendo  alle
                 «loro signorie» (their worships) di attribuire il tutto alla sua malattia. Cesare non teme qualcosa di
                 esterno, ma qualcosa di interno a se stesso, e teme che qualcuno possa leggerlo. In questa luce,
                 acquista ancora maggiore pregnanza quel che dice ad Antonio ai vv. 202-203, temporalmente dopo
                 questo episodio che viene ora raccontato: dice che vuol evitare lo sparuto Cassio, che è un grande
                 osservatore, capace di spiare nei segreti delle azioni umane.
              46 I,  ii,  305-319  Cassio,  funzionalmente  il  personaggio  più  importante  del  primo  atto,  ha  qui  il  primo
                 monologo  del  dramma,  in  cui  mostra  l’aspetto  non  nobile  della  congiura  in  cui  ha  attirato  Bruto,
                 facendo trapelare le sue motivazioni personali. Egli rivela di essere non solo uno che sa “sedurre”,
                 ma anche uno che sa montare ad arte, con la sua propria iniziativa, la rivolta contro Cesare. Mentre
                 in Plutarco, infatti, i biglietti di incitamento alla rivolta sono lasciati da vari cittadini e uomini politici sulla
                 sedia pretoria di Bruto o ai piedi della statua del suo celebre antenato o alle finestre della sua casa,
                 nel  dramma  tali  biglietti  sono  una  contraffazione  di  Cassio,  che  ne  è  l’unico  autore  e  mittente.  Il
                 campo  attanziale  e  ideologico  risulta,  così,  radicalmente  trasformato  rispetto  alla  fonte;  anche  se
                 poi,  negli  atti  successivi,  i  valori  politici  troveranno  una  rispondenza  più  puntuale  con  Plutarco,  e
                 Cassio recupererà una sua dignità ideale. Si può congetturare che la variazione ideologica in questa
                 scena di avvio della congiura sia dovuta al fatto che, nell’ottica elisabettiana, in uno stato nazionale
                 da  poco  unito  e  non  ancora  saldo,  la  congiura  era  ritenuta  impresa sempre infame.  Chi  la
                 promuoveva, pertanto, doveva essere un villain: quale appunto Cassio si rivela in questo monologo.
                 L’anima della rivolta contro il potere costituito doveva essere individuabile, e condannabile, in quel
   2272   2273   2274   2275   2276   2277   2278   2279   2280   2281   2282