Page 2276 - Shakespeare - Vol. 2
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Così lo interpreta Bruto, sempre più decisamente: Cesare sta per essere eletto re dal popolo.

              31 I,  ii,  135-138  Qui  il  procedimento  di  Cassio  è  esattamente  opposto  a  quello  impiegato  nella
                 precedente battuta: se lì Cesare veniva radicalmente sminuito, qui viene ingigantito, in una iperbole
                 che  lo  ritrae  come  un  colosso  che  cavalca  il  mondo,  mentre  tutti  gli  altri  vengono  rimpiccioliti  a
                 dimensioni meschine. È una questione di prospettive: tutto dipende da come si vuol vedere Cesare
                 e se stessi.
              32 I, ii, 142-147 Per un’analisi di questo attacco alla mitologia del Nome rimando alla Prefazione. C’è da
                 aggiungere che nel momento in cui Cassio smantella lo statuto simbolico del nome “Cesare”, egli
                 surrettiziamente  edifica  lo  statuto  simbolico  del  nome  “Bruto”,  che  è  il  nome,  non  a  caso,  di  un
                 lontanissimo progenitore (subito dopo evocato al v. 159) dell’attuale Bruto, quel Giunio Bruto che nel
                 509  a.C.  cacciò  da  Roma  Tarquinio  il  Superbo,  mettendo  fine  alla  monarchia  e  dando  inizio
                 all’ordinamento repubblicano.

              33 I, ii, 156 Bisticcio fonico tra Rome e room, con ulteriore gioco su un nome: prima il nome di Cesare
                 e quello di Bruto, poi il nome degli dèi, ora il nome di Roma, a cui retoricamente Cassio si è rivolto in
                 allocuzione diretta. Rome si è ridotta a room, a una stanza, così come più su il majestic world si era
                 ridotto a un narrow world.
              34 I, ii, 162-175 Al nome di quel suo antenato che, anche nella narrazione di Plutarco, costituiva per lui
                 il segno di una missione da compiere, Bruto decide di aprirsi, sia pure parzialmente, e si esprime, in
                 chiara  opposizione  alla  retorica  vistosa  di  Cassio,  con  un  linguaggio  sobrio,  attico,  tutto  fatto  di
                 bilanciamenti  parallelistici:  si  vedano,  ad  esempio,  le  tre  clausole  subordinate  che  anticipano  le  tre
                 proposizioni principali ai vv. 162-165.
              35 I, ii, 175-177 Cassio ha raggiunto il suo scopo con mirabile abilità, ma, secondo la tipica detractio
                 dell’arte oratoria, finge di essere un debole parlatore.
              36 I, ii, 177 didascalia Col rientro dell’altra scena in questa scena non si ricostituisce subito una nuova
                 scena intera, ma lo spazio della grande piattaforma elisabettiana si bipartisce, fino al v. 214, in due
                 semiscene: Bruto e Cassio continuano a parlare tra di loro commentando l’aspetto di quelli che sono
                 rientrati dalla corsa sacra e facendo congetture sull’accaduto, e, subito dopo, Cesare e Antonio, a
                 loro volta, commentano la semiscena di Bruto e Cassio, in un procedimento di tipo speculare che
                 mette in evidenza i due campi opposti del dramma.
              37 I, ii, 182-188 Emerge una evidente discrepanza tra l’interpretazione che Bruto stesso aveva dato in
                 precedenza  del  clamore  della  folla  e  quanto  egli  ora  osserva  sul  volto  di  quelli  che  vi  avevano
                 partecipato.

              38 I,  ii,  192-212  Anche  in  questo  scambio  c’è  un  attento  esame  dell’aspetto  di  altri  per  ricavarne
                 informazioni sul loro comportamento. È da notare che, in Plutarco, Cesare era insospettito sia da
                 Cassio che da Bruto, in quanto persone magre e pallide, mentre qui egli individua come possibile
                 nemico segreto soltanto Cassio, anche se il ritratto fisico-psicologico che ne fa sembra riferirsi anche
                 a Bruto, il quale, come vedremo, legge molto, non dorme la notte ed è ben poco portato al sorriso.
                 Comunque, le sue osservazioni costituiscono un’acutissima lettura del carattere di Cassio che non
                 sopporta  uno  più  grande  di  se  stesso  e  per  questo  (per  invidia,  per  competizione)  è  pericoloso.
                 Infine, la reazione di Cesare oscilla tra la paura e la negazione della paura, negazione che è richiesta
                 dal  suo  ruolo  (v.  212: for always I am Caesar).  L’invenzione  drammaturgica  di  Shakespeare  non
                 perde mai di vista la divaricazione tra individuo e ruolo, spazio in cui le passioni si intrecciano con le
                 ideologie.
              39 I, ii, 225 In realtà, come s’è visto, sulla scena di Bruto e Cassio erano giunti solo due volte i gridi
                 della folla. E, nella Vita di Cesare, Plutarco menziona infatti due rifiuti della corona da parte del suo
                 eroe. Ma Shakespeare poté leggere, nella Vita di Antonio, un resoconto un po’ diverso dello stesso
                 fatto, in cui si parla di reiterate offerte e reiterati rifiuti, dopo le prime due volte: «Tutte le volte che
                 Antonio gli offrì la corona di alloro, alcuni dei suoi seguaci ne gioirono; e tutte le volte che Cesare la
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