Page 2019 - Shakespeare - Vol. 2
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organizzandola come una grande messinscena.
La necessità della simulazione e della recitazione era stata, d’altronde,
riconosciuta da Bruto stesso in II, i, 77-85 e 225-228, quando aveva riflettuto
sul volto “mostruoso” della congiura, sulla necessità della dissimulazione, e
aveva invitato i compagni a comportarsi come attori. L’azione politica quindi
si rivela sempre intimamente legata alla retorica della menzogna. La politica,
oltre che una strategia di potere e di conduzione sociale, è anche
inevitabilmente una tattica, e spesso è una recitazione condotta in modo tale
che anche l’altra parte reciti il copione che le si impone. I congiurati, in III, i,
recitano tutti una parte, al fine di far fare a Cesare la parte del tiranno. Solo
così la sua uccisione sarà giustificata dalla “scena” che la rappresenta.
Shakespeare ci addita continuamente in questo dramma la dimensione
teatrale della politica, la retorica della politica, la finzione della politica (come
aveva, del resto, già fatto in drammi storici precedenti, e in particolare in
Riccardo III).
Di quella teatralità, certo, il più grande interprete è Antonio, il più dotato di
senso scenico, per varietà di movimenti e di orientamenti deittici, per
capacità nell’uso dello spazio, per abilità nel muovere le passioni del suo
pubblico. Nei primi due atti, egli sembra essere una figura appena di
contorno, satellite del grande Cesare. Nel primo ha solo 4 battute per 6 brevi
versi, in cui fra l’altro 4 delle 31 parole che usa sono il nome di Cesare. Nel II
ha una sola battuta per un solo verso, e anche qui si rivolge a Cesare
nominandolo. Dunque, fra I e II atto, ad Antonio sono affidate in tutto 36
parole. Nel III, a partire dal v. 123, egli ha, per bocca del suo servo che
riporta le sue parole in forma diretta, la prima lunga battuta (12 versi) e poi
10 battute, di cui alcune molto lunghe, per un totale di 111 versi. In III, ii, ha
20 battute, per un totale di 147 versi, che aggiunti a quelli di III, i, fanno ben
258 versi nel III atto, contro 6 nel I e 1 nel II. In III, ii, su un totale di 273
versi Antonio ne ha 147, più della metà. Dunque, per molto tempo è solo
figura minore, ma poi, quando irrompe con la sua parola a cambiare la storia,
dopo l’uccisione di Cesare, egli diventa il dominatore della scena, con la
sproporzione più vistosa, e certamente calcolata, nell’intero canone
shakespeariano per quanto riguarda un personaggio di primo piano.
Concedere non più di 36 parole ad Antonio nei primi due atti, per poi farlo
dominare nel terzo, significa preparare non solo una formidabile sorpresa
drammatica, ma anche una clamorosa dimostrazione della funzione storica
dell’atto di parola.
Poi, nel IV e V atto, la sua presenza e la sua percentuale di parole si