Page 2023 - Shakespeare - Vol. 2
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antimonarchica, interpreta sia il primo che il secondo segno in maniera per
lui, e per lo schieramento repubblicano, negativa, come sicure premonizioni
della sconfitta e della morte. Viene ricatturato nei segreti disegni del Cosmo
Simbolico e perde, così, la battaglia ancor prima di averla combattuta fin in
fondo, e perde la vita infliggendosi da sé la sua morte.
Il paradigma ermeneutico, come emerge da questa rapida ricognizione, indica
pertanto la labilità delle interpretazioni umane, nonché − cosa ancora più
importante − la stabilità di un sistema simbolico contro il quale è forse inutile
lottare. Sia Cassio che Bruto si uccidono nel nome di quel Cesare che avevano
ucciso proprio per cancellarne il nome, la funzione simbolica, l’idea politica!
Da ciò si potrebbe essere tentati di estrarre un messaggio ideologico finale
dal dramma: quello per cui il cesarismo e il modello simbolico che esso
rappresenta avrebbero, alla fine, l’ultima parola. Ma quella «meravigliosa
imparzialità filosofica della politica in Shakespeare», che Coleridge
riscontrava nel Coriolano, a me pare emergere, e con evidenza forse
maggiore, anche nel Giulio Cesare. Le posizioni ideologiche, dall’inizio alla
fine, sono sempre viste prospetticamente e confrontate l’una contro l’altra, e
in ogni occasione vengono fatte ruotare intorno alle istanze di discorso, ai
soggetti che le enunciano o le dissimulano, in modo tale che sempre si rivela
in esse una componente di parzialità, l’ombra di un dubbio, la traccia di un
errore.
E se è vero che lo spirito di Cesare alla fine vince − ma così ha scritto la
Storia che Shakespeare mette in scena − non è meno vero che nel IV e nel V
atto la parte più seguita, e con la più grande attenzione per i risvolti
psicologici con cui sono vissuti gli eventi, è quella dei repubblicani. Infine,
l’unico ritratto pienamente positivo di un personaggio è quello che Antonio fa
di Bruto ormai morto, presentandolo come paradigma esemplare dell’uomo.
Rimando alle note per più puntuali riscontri critici. Ma un’ultima osservazione
generale mi pare qui necessaria. Dramma della politica, della retorica della
politica, e quindi della forza della parola attraverso cui si fa la storia, Giulio
Cesare è una delle opere di Shakespeare meno fittamente intessute di
figuralità tropica. A prima vista, ciò potrebbe apparire paradossale, e
potrebbe indicare un difetto, una mancanza di spessore semantico e di
complessità immaginativa. Come sembrò a Caroline Spurgeon che, nel suo
ampio studio sulle immagini di Shakespeare, notava con evidente disappunto:
«There is no leading or floating image in the play; one feels it was not
written under the particular stress of emotion or excitement which gives rise
to a dominating image».