Page 2021 - Shakespeare - Vol. 2
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veda II, i, 167-174, dove invita i compagni a fare dell’uccisione di Cesare un
          momento  di  purificazione  del  corpo  infetto  del  mondo);  e  tuttavia,  nella
          prassi,  quella  uccisione  raggiungerà  la  crudeltà  del  massacro  (come  avrà
          modo  di  ricordare  a  più  riprese  Antonio).  E  a  niente  sarà  servita  la

          commemorazione  immediata  dell’atto  come  rito  (si  veda III,  i,  105-110,
          quando  Bruto  chiama  gli  altri  a  bagnarsi  le  mani  e  a  intingere  le  armi  nel
          sangue di Cesare), nonché la trasmissione al futuro, da parte di Cassio, di
          questa «scena sublime» che sarà indefinitamente recitata a memoria di una

          svolta  politica  esemplare  (III,  i,  111-116).  Il  “teatro”  della  storia  gronda
          sangue,  comunque,  ed  esprime  violenza,  malgrado  il  tentativo  di  Bruto  e
          Cassio di ritualizzare l’azione e trasmetterla alla memoria dei posteri come
          paradigma  di  rigenerazione  e  di  libertà.  Una  colpa  segreta  si  nasconde  in

          quell’atto “necessario”.
          Anche l’idealismo di Bruto deve così fare i conti con l’ambiguità sia del segno
          che  dell’azione,  nel  contesto  politico  in  cui  fluisce  la  storia.  Il  suo  errore
          strategico  starà  poi  nel  credere  che,  una  volta  affermata  l’ideologia

          democratica, basti la tautologia a conservarla. La sua orazione, in III, ii, non è
          altro  che  un  teorema  con  cui  egli  vuole  dimostrare  al  popolo  la  necessità
          dell’azione  che  ha  dovuto  compiere  insieme  agli  altri  congiurati.  Ma  le
          passioni  non  si  piegano  all’evidenza  di  un  asserto.  Anche  il  popolo,

          personaggio collettivo, è, non meno degli altri personaggi principali di questo
          dramma  politico,  profondamente  contraddittorio,  e  oscilla  da  una  posizione
          all’altra: sta per Cesare, ma lo applaude quando egli rifiuta la corona; sta per
          Bruto, ma subito lo abbandona quando Antonio rovescia i termini dell’asserto

          di  Bruto  (Cesare  era  ambizioso,  quindi  virtualmente  si  proponeva  come
          tiranno  che  avrebbe  schiacciato  il  popolo,  e  perciò  bisognava  eliminarlo)
          costruendo  in  maniera  molto  più  passionale  e  seducente  un  altro  asserto
          (Cesare non era ambizioso, perché amava il popolo, e perciò l’atto di Bruto è

          stato crudele e tutt’altro che “onorevole”). Tutto è in parte vero e in parte
          falso.
          Tutto  dipende  allora  dalla prospettiva da  cui  gli  eventi  e  le  varie  posizioni
          politiche  vengono  riguardati.  E,  con  questo,  veniamo  al  paradigma,  di  non

          minor importanza degli altri in questo dramma, della interpretazione. L’azione
          degli uomini dipende in grandissima parte da come essi interpretano i segni.
          Non  a  caso,  nel  primo  atto  soprattutto,  la  scena  spesso  si  bipartisce  in
          semiscene  (o,  come  per  buona  parte  di I,  ii,  in  una  scena,  per  così  dire,

          attuale  e  in  una  scena  spostata  fuori  scena,  dalla  quale  giungono  segnali
          nella prima: si veda il decisivo colloquio Bruto-Cassio e i clamori della folla
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