Page 2017 - Shakespeare - Vol. 2
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quella funzione regale che vorrebbe assumere, e poi ne discute la mitologia
          del  Nome,  il  Significante  simbolico Cesare:  si  veda I,  ii,  142-147,  dove  si
          dispiega,  in  maniera  esemplare,  la  decostruzione,  effettuata  nel  segno
          dell’arbitrario  e  del  convenzionale,  della  concezione  del  linguaggio  come

          motivato  e  simbolico.  Non  c’è  nulla  per  Cassio  in  quel  nome  che  lo
          predisponga miticamente ad una funzione di predominio; ed egli fa una sorta
          di esecuzione comparata di quel nome, Caesar, e del nome del personaggio
          che  vuol  convincere, Brutus:  a  livello  grafico  (Write  them),  sonoro  (Sound

          them), materico (Weigh them) e infine magico-esorcistico (Conjure with ’em).
          Quei  nomi  si  equivalgono.  Non  si  dà  un  destino  dell’eroe  nel  suo  nome
          proprio,  nel  mito  del  suo  nome.  L’attacco  al  tiranno  deve  smantellarne  in
          primo luogo lo statuto simbolico, la necessità immanente.

          Cesare,  invece,  crede  nel  suo  nome,  e  spesso  nasconde  la  propria
          soggettività dietro di esso, parlando di sé in terza persona. Vive e muore nel
          nome  di  Cesare.  E  poi  quel  nome,  anche  dopo  la  sua  morte,  continuerà  a
          riecheggiare  nel  dramma,  sia  perché  Cesare  riapparirà  come  fantasma  a

          Bruto, sia perché il suo spirito continuerà a ossessionare i repubblicani e il
          suo nome continuerà ad essere ripetuto dai suoi sostenitori (e soprattutto da
          Antonio, che lo farà martellare moltissime volte nel corso della sua celebre
          orazione), sia infine perché quel nome sarà reclamato da Ottaviano e sarà a

          lui rivolto (e così Ottaviano diventerà il primo imperatore di Roma, il primo di
          una lunghissima sequenza di Cesari).
          Si  capisce  allora  perché  il  dramma  sia  intitolato  a  Cesare,  anche  se  egli
          muore  prima  della  metà  del  dramma:  il  nome  Cesare  ne  governa  l’intero

          svolgimento.  La  struttura  drammatica  rivela  una  simmetria  perfetta.
          Dall’inizio  fino  alla  prima  scena  del  terzo  atto  abbiamo  il  cesarismo  al  suo
          culmine, al punto della sua imminente ratificazione monarchica e imperiale,
          e,  in  concomitanza,  il  costituirsi  della  congiura  repubblicana  che  l’attacca,

          appunto, nelle sue cerimonie, nelle sue finzioni, e nelle sue mitologie. Dopo
          l’uccisione  di  Cesare,  dovrebbe  stabilizzarsi  e  rafforzarsi  il  governo
          repubblicano,  ma,  sempre  nel  pieno  del  terzo  atto,  irrompe  il  nuovo
          cesarismo incarnato da Antonio, che cambia il volto della storia con la sua

          orazione  al  popolo  sul  corpo  di  Cesare  morto.  Il  conflitto  tra  i  due
          schieramenti  politici,  che  costituiscono  anche,  come  s’è  detto,  due  diverse
          concezioni del mondo, si sviluppa e si conclude negli ultimi due atti con la
          sconfitta dei repubblicani.

          Il  dramma  resta  sempre,  dall’inizio  alla  fine,  marcatamente  politico.  I
          personaggi, anche quelli investigati in certe componenti profonde o in risvolti
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