Page 2018 - Shakespeare - Vol. 2
P. 2018

privati (come Cesare e Bruto), non hanno di fatto che uno spazio pubblico. I
          loro ruoli e i loro destini sono inestricabilmente legati a opzioni ideologiche e
          a conseguenti schieramenti politici. Che devono essere messi alla prova del
          popolo, o meglio che devono persuadere il popolo. Non a caso, il dramma

          inizia, nella prima scena, e culmina, nella seconda del terzo atto, con azioni
          linguistiche  volte  alla  persuasione  della  folla.  Il  popolo,  apparente
          protagonista della storia, è di fatto il materiale sul quale viene effettuata la
          trasformazione  in  potere  dei  contrapposti  orientamenti  ideologici:  in I,  i,  i

          tribuni persuadono la folla a non celebrare il trionfo di Cesare per la vittoria di
          Munda  sui  figli  di  Pompeo;  in I,  ii,  Antonio  cerca  di  persuadere  il  popolo,
          durante  la  Festa  dei  Lupercali,  ad  accettare  l’incoronazione  (pur  ancora
          simbolica) di Cesare, ma quest’ultimo, rendendosi conto che il tempo non è

          ancora maturo, rifiuta ipocritamente la corona d’alloro che gli viene offerta,
          persuadendo  il  popolo  della  sua  fedeltà  alla  repubblica;  in III,  ii,  Bruto
          persuade il popolo, nella sua orazione, che l’uccisione di Cesare è stata un
          atto  necessario  alla  conservazione  della  repubblica;  ma  poi,  subito  dopo,

          Antonio  persuade  il  popolo  dell’onestà  di  Cesare,  della  sua  generosità,
          confermata dai lasciti testamentari devoluti al popolo stesso, e quindi della
          crudeltà  interessata  dei  congiurati.  E  qui  la  storia  ha  la  svolta  radicale:  il
          popolo si scatena contro i congiurati, inneggiando a Cesare e allo spirito di

          Cesare. I tempi sono pronti per l’Impero.
          Trattandosi di continue opposizioni politiche, non stupisce che sia dominante
          il  paradigma  della persuasione.  Che  chiama  con  sé  la  retorica  di  parte,  la
          recitazione  e,  in  quella,  la  simulazione.  La  storia  non  è  fatta  tanto  di

          programmi  razionali,  quanto  di  persuasioni,  effettuate  affinché  gli  altri
          aderiscano  al  proprio  modello  del  mondo.  I  personaggi  delle  varie  parti
          parlano gli uni con gli altri, o al popolo che deve convalidare il potere degli
          uni o degli altri, cercando di imporsi o di imporre un certo “contratto”. Quindi,

          non  si  dà  azione  politica  se  non  all’interno  di  una  qualche  finzione.  La
          simulazione e la dissimulazione le sono necessarie. Sia uno schieramento che
          l’altro  devono  farvi  ricorso.  E  si  veda,  in V,  i,  29-48,  come,  prima  della
          battaglia  di  Filippi,  Bruto  e  Cassio,  da  una  parte,  e  Antonio  dall’altra,  si

          rinfaccino  tutte  le  simulazioni  e  le  finzioni  che  hanno  dovuto  recitare  per
          mettere in opera i rispettivi progetti politici. Non è stato solo Antonio, infatti,
          ad  usare  i  doppi  fondi  del  linguaggio,  a  fare  l’attore  e  ad  organizzare  da
          regista la decisiva sollevazione popolare in III, ii. Anche Bruto e Cassio, come

          ricorda  loro  Antonio  ai  vv.  40-45  di  quella  scena,  hanno  dovuto  dirigere  e
          rappresentare  l’atto  finale  della  congiura,  e  cioè  l’uccisione  di  Cesare,
   2013   2014   2015   2016   2017   2018   2019   2020   2021   2022   2023