Page 637 - Shakespeare - Vol. 1
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guerra e in pace le funzioni del suo delicato e femmineo consorte. York, da
lei ucciso senza pietà, denuncia la sua natura ferina, incompatibile con le
più dolci doti femminili. Strega e amazzone assatanata, Margherita è il
parto terribile della Storia medievale rivisitata da Shakespeare, la vera
antagonista di Riccardo di Gloucester, perché mostruosa quanto lo storpio
figlio di York. Anche per lei è in agguato la legge del contrappasso, poiché
assisterà impotente alla morte del figlio, i cui diritti regali aveva difeso con
furore belluino. La sua richiesta di essere immolata sul cadavere ancora
caldo del suo «dolce Ned» - mentre scaglia altri insulti sui fratelli York
vincitori - non verrà accolta, anche perché Riccardo, che sarebbe pronto
ad esaudire il suo desiderio, è impegnato in una missione più importante:
l’eliminazione fisica di Re Enrico nella Torre. Vituperata da York e dai suoi
figli, che cercano di esorcizzarne la violenza sovversiva relegandola nella
zona più oscura dell’immaginario, dove risiedono animali feroci, donne
snaturate, straniere demoniache, Margherita trova la forza di incitare di
battaglia in battaglia i suoi uomini, fino a guidarli verso l’ultima sconfitta,
rivendicando lo stesso diritto di dominare e di uccidere che hanno i suoi
nemici. Non è escluso che gli spettatori elisabettiani, i quali avevano
certamente provato simpatia per York torturato dalla perfida regina,
cogliessero, nell’orazione orgogliosa di Margherita prima della battaglia
decisiva (V, iv), un’eco del messaggio inviato - pochi anni o pochi mesi
prima - da un’altra regina, Elisabetta I, alle truppe inglesi in procinto di
contrastare l’invasione spagnola.
In ogni caso, la donna che ha infranto le regole del suo sesso viene battuta
e privata della discendenza, quindi abbandonata alla disperazione
impotente. Il suo destino, come per Eleanor Cobham nella seconda parte
dell’Enrico VI, è l’esilio. Lungo l’arco della trilogia l’ordine maschile è stato
ripristinato dalla virile casata York, composta d’un padre e di quattro figli
guerrieri. Se cade il capo, gli altri sono pronti a proseguire la lotta. E così
se muore il fratello più piccolo. Se un altro fratello tradisce, gli altri due
stringono un’alleanza invincibile. Nella scena conclusiva di tutta la trilogia,
come abbiamo già visto, i tre moschettieri yorkisti si ritrovano a celebrare
la nascita dell’erede. Ma sul rito dinastico-familiare pesano le parole del
monologo di Riccardo di Gloucester: «Non ebbi un padre, non ho nulla del
padre; / non ho fratelli, non ho nulla del fratello» (V, vi).
L’imagery della terza parte dell’Enrico VI, così fortemente incentrata su
metafore che riguardano gli animali da preda, fa presagire la vittoria di un
mondo ferino, in cui la caccia all’uomo ha sostituito un nobile passatempo
e le operazioni di macelleria (di cui, secondo Eric Sams, Shakespeare si
intendeva, essendosi introdotto nell’ambiente teatrale di Londra grazie alle
conoscenze ricavate dalla professione del padre) hanno per oggetto gli
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