Page 633 - Shakespeare - Vol. 1
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evocare il tradimento di Giuda. Jane Howell, che ci ha dato l’efficace
versione televisiva della BBC (cfr. Note, p. 238), chiude il play con le
immagini di una danza, a cui partecipano tenendosi per mano i guerrieri
vittoriosi, più simili a gioviali ballerini che a spietati macellai. Tuttavia,
nessuno può illudersi di poter recuperare l’innocenza perduta - né gli
artefici del massacro, né gli spettatori, edotti delle conseguenze nefaste
della guerra civile. Riccardo si allontana zoppicando, dopo aver lanciato
uno sguardo furtivo al trono. Ancora una volta la legittimazione del potere
si basa sull’illusione di parole che non hanno alcuna solidità, alcuna
coerenza etica. La storia della guerra civile che oppone Lancaster a York,
raccontata sul palcoscenico da Shakespeare, si scompone in un gioco di
interpretazioni, convalidate dal successo militare o dall’intrigo politico. Ma il
palcoscenico è un terreno paludoso, dove è assai facile scivolare, e dove
qualunque affermazione è destinata a essere prontamente smentita. Una
paradossale “verità” è rintracciabile solo nei monologhi di Riccardo di
Gloucester, percorsi da una assoluta volontà di negazione e dissoluzione
dei legami dinastici, feudali, familiari, che dovrebbero tenere assieme le
strutture sconnesse dello stato.
Due principi drammatici modellano il play conclusivo della trilogia.
Innanzitutto, il gioco delle ripetizioni e delle inversioni, interno alla terza
parte dell’Enrico VI, trova applicazione più ampia e finisce per diramarsi
verso le opere precedenti. Esemplare - e collocata al centro del dramma
(II, v) - è la scena della battaglia di Towton, in cui Enrico VI è assiso su
una gobba del terreno (lo stage molehill), su cui era stato trascinato, a
Wakefield, il rivale York. Se York aveva pianto per la morte del figlio
Rutland, al debole monarca, che dovrebbe essere il genitore di tutta la
nazione, e che vagheggia una pace pastorale assai poco consona al suo
ruolo, non resta che gemere assieme ai suoi sudditi, trasformati in
assassini del loro stesso sangue. D’altra parte, la morte di York, di poco
preceduta da quella di Rutland, è vendicata dall’uccisione del Principe
Edoardo davanti agli occhi della madre impotente. E ancora, la quasi
contemporanea uccisione di Warwick e del fratello Montague rinvia alla
caduta gloriosa di Talbot e del figlio nella prima parte dell’ Enrico VI, salvo
che ora non si combatte più contro i Francesi, ma si vive (e si muore) tra
gli orrori della guerra civile. Allo stesso modo, se Margherita è la virago
amazzonica generata dalle ceneri della Pulzella, non è forse un caso che
tocchi a lei irridere e immolare York, il quale era stato il nobile inglese più
accanito contro Giovanna d’Arco. Un ulteriore rimando alla prima parte
dell’Enrico VI si può cogliere nella scena galante di cui sono protagonisti
Edoardo IV e Lady Grey, che intessono uno scambio di battute non
immemore di quello che aveva caratterizzato l’incontro tra Suffolk e
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