Page 635 - Shakespeare - Vol. 1
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della Pulzella si è avverata. Nella versione della BBC la battaglia di Barnet,
che provoca la morte di Warwick e prelude alla definitiva consacrazione
degli York, si svolge - secondo una felice intuizione scenografica della
Howell, che si ricollega alle fonti storiche - in mezzo a una bufera di neve.
Anche il palcoscenico viene cancellato. I guerrieri mulinano gran fendenti
nel nevischio, fantocci insensati, manichini incapaci di recitare un ruolo
credibile, comparse destinate a essere spazzate via dall’inesorabile corso
degli eventi storici.
Per rinforzare la qualità ironica del dramma, Shakespeare si serve della
mitologia e della Storia Sacra. Così York - addobbato di un diadema di
carta che è la parodia della corona di spine posata sul capo di Cristo - è
costretto a percorrere la sua personale via crucis, in balia dei nemici, che
gli premono sul costato il fazzoletto inzuppato del sangue del figlio. E,
tuttavia, la sua morte non lava i peccati del mondo; e se proprio vogliamo
assistere alla resurrezione di York, ovvero della sua casata, dovremo
accontentarci dell’apoteosi del donnaiolo Edoardo IV, delle giravolte
politiche di Clarence, dei progetti di violenza perpetrati dal futuro Riccardo
III.
Una coerente vocazione cristiana si esprime nella figura del mite e
rassegnato Enrico VI, il weak king, che porta alla rovina dello stato, perché
è incapace di sedere sul trono, come di occupare il centro del palcoscenico.
È proprio la mediocrità di Enrico a spalancare le porte della guerra civile, in
cui tutti lottano per impadronirsi del ruolo principe, per recitare la parte del
player king che è anche king player, l’attore più importante, davanti al
pubblico, a cui spetta, in definitiva, il giudizio riguardante la storia
d’Inghilterra e la bravura degli attori.
E, tuttavia, non si può negare che quanto più le sorti della guerra
confermano l’inadeguatezza del modello regale proposto da Enrico VI, tanto
più questa figura docile e rassegnata appare in grado di esprimere la
consapevolezza del destino di dolore a cui l’umanità è vincolata.
Fallimentare come sovrano, Enrico può dare voce a una interpretazione
tragica della Storia che è certo insufficiente, ma che appare l’unica a
potersi opporre alle astuzie e alle sottigliezze verbali di cui i monologhi di
Riccardo di Gloucester sono già prova evidente. Tanto è vero che
l’assassino gli tronca le parole di bocca con un colpo di spada e trasforma
in beffa sacrilega il discorso riccamente metaforico di Enrico. Un nuovo
linguaggio fa la sua comparsa, in grado di mettere in discussione termini
come “fratello” e “amore” (V, vi).
Re Enrico non è l’unico a morire nobilmente. Gli spietati guerrieri, pronti a
tutto pur di soddisfare la loro brama di potere o di vendetta, versano il
sangue che inzuppa la terra-Inghilterra, divenuta crudele matrigna,