Page 2738 - Shakespeare - Vol. 1
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situazioni, anche se poi sa muoversi con destrezza. Non dimostra di avere
una strategia e, con tutto il suo intuito politico, non conosce abbastanza se
stesso - il limite dell’uomo d’azione - né tantomeno il mondo in cui dovrà
in futuro operare, e che sin dall’ascesa al trono comincia a dar segni di
disaffection. Contro ogni apparenza, i suoi primi atti di governo tradiscono
insicurezza: il perdono di Aumerle e del Vescovo di Carlisle non potrebbero
essere un atto di cattiva coscienza? un tentativo di farsi perdonare la
soppressione di Riccardo? Questa, infine, è nella logica stessa delle cose: la
decadenza dalla sovranità comporta l’umiliazione del sovrano deposto, e
questi non può che trasformarsi fatalmente in “incubo vivente” - da
eliminare alla prima occasione. Più Bolingbroke ascende la china del
potere, più si avvia a scivolare giù per un piano inclinato. Aveva cominciato
con il voler vendicare il sangue innocente di un Abele, e si ritrova segnato
dal marchio di Caino: esattamente il percorso contrario a quello di
Riccardo. E così l’uomo forte, nel momento in cui accede al potere assoluto,
conchiude il dramma nel lutto e nell’espiazione. Lo rivedremo nell’opera
successiva (la Parte Prima di Enrico IV) «affranto, sofferente, pallido di
affanni»: il primo verso di un nuovo dramma - il dramma della precarietà
del potere.
Unico altro personaggio di rilievo, dopo i cugini rivali, è il Duca di York, che
incarna, sia pure imperfettamente, la fedeltà all’istituto monarchico, il
senso dello Stato, l’esigenza della continuità delle funzioni di governo, e
certi ovvi princìpi di giustizia e di diritto. Egli è a suo modo il portavoce di
alti ideali - o di ideali quanto meno rispettabili: un conservatore moderato,
diremmo oggi. In tempi di lacerazioni traumatiche, di polarizzazione della
lotta politica, la sua posizione “centrista” e mediatrice rivela tutta la sua
debolezza. In più, investito dell’autorità di reggente, si trova disarmato di
fronte agl’insorti: onde il suo sgomento impotente al susseguirsi di cattive
nuove, la sua velleitaria proclamazione di neutralità di fronte al nemico, e il
suo passaggio - un “cedo alla forza” - nel campo dell’usurpatore; nonché
la successiva, convulsa esibizione di lealismo nei confronti di Bolingbroke,
con la denunzia del figlio cospiratore: non tanto una prova di romana virtù,
quanto un proiettare sul figlio (Fear and not love begets his penitence,
«Paura, e non amore, ha generato il suo pentimento») il proprio senso di
colpa nei confronti di Riccardo. I suoi tentennamenti sono quelli di chi sa
vedere le ragioni delle due parti in conflitto. I suoi princìpi gli permettono
di correre qualche rischio, ma non di rischiare la pelle; ed il sospetto di
opportunismo è riscattato da un tocco di candore. Sarebbe un errore
interpretarlo come personaggio fondamentalmente comico: l’economia del
dramma, la sua unità di tono non lasciano spazi al comico. Gli altri
personaggi hanno soprattutto una funzione emblematica: il che non toglie

