Page 2735 - Shakespeare - Vol. 1
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mondo. Non è solo una questione di vittimismo esasperato o esaltazione
narcisistica: questa è la croce di ogni monarca; persino Enrico V,
mirabilmente dotato dalla natura per assolvere fino in fondo la sua
missione regale, avvertirà il dissidio di una contraddizione insanabile, e
quindi potenzialmente tragica, a cui solo la morte può porre rimedio.
Non è insanabile, invece, la contraddizione fra l’uomo e l’attore: altro
essere dalla duplice natura che Shakespeare, attore egli stesso, conosce
assai bene. In Riccardo II, come in altri drammi, egli sembra indicare un
parallelo latente fra la figura del Re e quella dell’attore. Forse che il Re non
è costretto a eternamente recitare? a dissolvere il suo io privato in una
temporanea e rischiosa incarnazione? a non restare mai solo con se
stesso? a non perder coscienza della possibilità del fallimento, se viene
meno l’istinto d’immedesimazione, il gusto della recita, l’azzardo di un
gioco in cui gli errori si pagano cari? Le situazioni teatrali s’inseguono e
sommano per tutto il dramma con forte effetto cumulativo: dalle scene
iniziali, con un Riccardo ben consapevole di recitare una parte - quella del
sovrano giusto e autorevole che sa di non essere - alle scene che lo
vedono alla confusa, angosciata ricerca di un ruolo alternativo, attore di
uno psicodramma che è sotto gli occhi di tutti, fino alla fine della sua
parabola, quando gli vengono meno gli applausi del pubblico. Ed ecco la
“dolorosa processione”, il woeful pageant dell’incoronazione di Bolingbroke,
che gli ha carpito il ruolo di protagonista:

      Come a teatro gli occhi degli spettatori,
      dopo che un loro attore favorito lascia il palcoscenico...

Dopodiché, nella segreta di Pomfret, non gli resta - senza più un pubblico
- che brancolare nel buio, immaginandosi in cento ruoli diversi. Osserva
Alessandro Serpieri che qui egli è pronto a recitare una parte, così come
potrebbe recitarne un’altra; e che

     su tale soglia (o diaframma, o sfasamento) tra essere e recitare si accampa fra il Cinque e il
Seicento l’immagine seduttrice e conciliatrice della Morte, che da sempre regge e conclude il dramma
dell’infinito e insensato desiderio umano.

Riccardo, cattivo re, può ben riscattarsi come attore, ed attore di razza;
anticipando l’interesse di Shakespeare per la figura del principe-attore,
nella più ampia tematica del teatro come recita della vita e della vita come
teatro o illusione, che troverà memorabili accenti nei grandi drammi della
maturità, Amleto, Macbeth, Re Lear, La tempesta.
C’è poi nel teatro di Shakespeare una terza figura, oltre al Re e all’Attore,
dalla duplice natura - come rileva il già citato Kantorowicz - ed è il Fool (il
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