Page 2617 - Shakespeare - Vol. 1
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DEMET RIO

Sire, nessuna meraviglia. Dove tanti asini parlano, può benissimo parlare
anche un leone.

     MURO

     In questo nostro dramma si dà il caso
     ch’io - che Beccuccio ho nome - rappresenti un muro.
     E dovreste pensar che questo muro
     abbia in sé il buco d’una crepa - ovverosia fessura -
     per il cui pertugio gl’innamorati Piramo e Tisbe
     parlavano spesso in gran segreto.
     Questa calce, quest’intonaco, e questa pietra,
     mostran ch’io son quel muro - proprio così!
     Ed è questa la crepa - a destra e a sinistra - attraverso la quale
     i paurosi amanti dovranno bisbigliare.

     T ESEO

E come si potrebbe desiderare che un muro di calce e pelo parlasse
meglio?

     DEMET RIO

Sire, è la partizione più arguta che io abbia mai udito. 104

                                           Entra Piramo.

     T ESEO

     Piramo s’avvicina al muro. Silenzio!

     PIRAMO

     O notte dal tetro sembiante! O notte che hai il viso tanto nero!
     O notte che sempre ci sei quando il giorno non c’è!
     O notte, o notte, ahimè, ahimè, ahimè,
     temo che Tisbe abbia scordato la promessa!
     E tu, o muro, o caro, leggiadro muro,
     che ti ergi fra la terra di suo padre e questa mia,
     tu, muro, o muro, o caro, amabil muro.
     mostrami il buco, ch’io possa col mio sguardo penetrarti.

                                                 (Il Muro diverge le dita a forma di “V”.)
     Grazie, cortese muro. Che Giove per questo ti protegga!
     Ma cosa vegg’io? Io Tisbe alcuna non vedo!
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