Page 2561 - Shakespeare - Vol. 1
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i nostri tripudi, vieni, se no da me rifuggi,
ed io stessa eviterò di venire ove t’aggiri.

OBERON

 Dammi quel ragazzo, ed io verrò con te.

T IT ANIA

 Neppure in cambio di tutto il regno. Fate, andiamo.
 Se ancor rimango ci accapigliamo!

                                                             Esce Titania con il Seguito.

OBERON

 Va’, va’ dove vuoi! Ma non uscirai dal bosco
 prima ch’io t’abbia fatto scontar simile affronto.
 Robertino caro, avvicinati. Tu certo ben ricordi
 quando, dalla cima d’un alto scoglio,
 ascoltai una sirena, assisa sul dorso d’un delfino, la quale
 effondeva nell’aria tanto soavi ed armoniosi accenti
 che il rude mare s’ingentilì al suo canto, e alcune stelle,
 impazzite fuori balzaron dalle sfere per ascoltare
 la melodia dell’equorea fanciulla.

DEMONE

        Me lo ricordo.

OBERON

 Potei allor vedere - e tu non lo potesti - volar
 Cupido in arme fra la luna gelida e la terra.
 Egli dritto mirò a una bella vestale,
 assisa in trono in occidente, e con tal veemenza
 scoccò dall’arco il suo dardo d’amore
 che parea dovesse centomila cuori trapassare.
 Ma vidi invece l’ardente strale del dio fanciullo
 spegnersi nei casti raggi della luna, signora dei flutti.
 E l’imperiale sacerdotessa passò via indisturbata
 in verginali meditazioni, intatta da fantasie d’amore. 30
 Però osservai dove il dardo di Cupido finì;
 cadde su un picciol fiore d’occidente, allora
 candido come il latte ed ora rosso d’amorosa piaga.
 Viola del Pensiero 31 lo chiaman le fanciulle.
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