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e all’opera in musica di Benjamin Britten, eseguita ad Aldebury nel 1960.
A questo trattamento prevalentemente musicale del Midsummer Night’s
Dream reagì finalmente Harley Granville-Barker con una memorabile
realizzazione al Savoy Theatre, 1914, che fu una riabilitazione del testo
verbale (riprodotto senza tagli) ma anche dette inizio ad un nuovo modo di
trattare l’atmosfera onirica della pièce. I personaggi e le scene
abbandonarono le forme realistiche soprattutto mediante una sorta di
sincretismo, anacronistico, a-temporale, analogo a quello adottato dallo
stesso Shakespeare. Le Fate apparvero come dee indiane, la cui distinzione
dai comuni mortali era il colore oro, Teseo come mitica divinità in un
palazzo più o meno egizio, Ermia come fanciulla tartara, Elena come
giovinetta greca, Lisandro e Demetrio ebbero abiti di foggia più o meno
giapponese, mentre Bottom e i suoi compagni vestivano gli stracci dei
popolani storici del Warwickshire. Le musiche obbligate non furono più
mendelssohniane, ma popolari (arrangiate da Cecil Sharp). Nelle scene si
videro disegni astratti, o come si disse allora, “futuristici”. Un altro
spettacolo di un certo valore fu quello di George Devine, a Stratford, nel
1954, con scene stilizzate, le Fate come strani uccelli, e un Robin che
saltellava e gesticolava come una scimmia. Fatto molto interessante per la
storia delle interpretazioni del testo, affiorava qui, accanto alla commedia
- quasi sempre trattata come divertimento - un’atmosfera sinistra, come
di mali spiriti, e di notturne angosce.
E così arriviamo all’ultimo grande evento nella rappresentazione del
Midsummer Night’s Dream dopo quello di Granville-Barker: la versione
scenica di Peter Brook, nel 1970, con la Royal Shakespeare Company,
caratterizzata da un violento trasferimento della commedia negli ideali del
teatro moderno d’avanguardia (un tentativo del genere, ma con scarso
consenso di pubblico, si era avuto nella pur pregevole rappresentazione di
Peter Hall nel 1959). Questo di Brook fu uno spettacolo di grande
dinamicità, ricchissimo d’inventiva e d’improvvisazione (i personaggi non
seguivano tanto le direttive della regia quanto i propri e spontanei impulsi
creativi). La scena era ridotta ad una sorta di scatola a tre lati, inondata di
luce bianchissima, il mondo delle Fate era quello del circo, con acrobazie,
trapezi, trampoli. Bottom era un clown. Brook poté forse ispirarsi allo
spettacolo di Augustin Daly del 1895 - sfavorevolmente commentato da
Bernard Shaw - ove Robin si serviva di un trapezio. Quanto a
interpretazione, Peter Brook evidenziava il tema erotico-sessuale,
indubbiamente presente in Shakespeare, ma occultato e mai apertamente
osceno. L’asino veniva celebrato per le sue falliche virtù, e Titania era
preda di un sogno erotico proibito, rinnegato, al risveglio, con profondo
disgusto. (Non c’è dubbio che Brook risentisse della interpretazione di Jan
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