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indicante la sua discendenza dal Titano Elio, dio del Sole. Delle
Metamorfosi era stata pubblicata, nel 1567, la traduzione di Arthur Golding,
ma è evidente che Shakespeare aveva letto l’originale latino, perché
Golding non usa mai il nome «Titania», bensì la perifrasi «Figlia del
Titano». In effetti nella Titania di Shakespeare confluiscono diverse
tradizioni: la greca, la latina e la celtica, le quali sciolgono, fra l’altro, il
dubbio (sollevato da alcuni) che Shakespeare si contraddicesse legando
Titania alla Luna (e quindi alla fredda castità) e al tempo stesso la facesse
presiedere ai riti del matrimonio e della fertilità, e persino la facesse preda
del più volgare e libidinoso erotismo (l’amore per l’asino). In effetti
l’ambiguità risiede nella tradizionale concezione mitica di quella divinità
femminile, associata con la Luna, che è Artemide; da un lato casta
persecutrice delle donne che cedono alla seduzione amorosa, dall’altro
protettrice delle donne incinte, dei parti, e dei neonati. L’Artemide-Selene
era poi collegata ai simboli della fecondità. Diana è la versione romana
(dal V secolo in poi) di Artemide, e deriva forse da una divinità celeste
indoeuropea. Il sincretismo elisabettiano assimila Diana alle Fate. Così
scrive Giacomo I nella sua Demonology (1597): «… una quarta specie di
spiriti, che i Gentili chiamarono Diana… e che noi chiamiamo Fata».
Shakespeare, nel suo brano più esplicito circa la Regina delle Fate (in
Romeo e Giulietta, I, iv, 53-94) dice che la sovrana è la celtica Queen Mab.
Se egli usa qui la Diana di Ovidio - mentre avrebbe potuto ancora parlare
di Queen Mab - ci dev’essere, mi pare, una buona ragione. Queen Mab è
infatti una strega, che non ha niente a che fare con la Luna e con la castità
o la fertilità. Titania ( = Artemide-Diana) è invece una dea lunare e
vegetale (sorta di dee vegetali sono, come abbiamo detto, le Fate) che
rappresenta la protezione delle donne incinte (cfr. II, i, 122 sgg.) e delle
nascite. E quindi secondatrice della fecondità. I riferimenti lunari alla
verginità e alla castità del mito classico Shakespeare li riserva invece al
panegirico d’obbligo per la Regina Elisabetta (II, i, 161-64).
Teseo è il ben noto personaggio della tarda tradizione attica, di cui
Shakespeare poteva leggere nelle Vite parallele di Plutarco, tradotte da
Thomas North (Vita di Teseo , 1579), e Ippolita è la regina delle Amazzoni,
da lui sconfitta.
I nomi dei sei artigiani alludono ai loro singoli mestieri. Quince è un
carpentiere, e quines o quoins erano i “cunei” di ferro adoperati per
spaccare il legno (traduco allora con «Zeppa»); Snug è un joiner, cioè un
falegname, addetto alla congiunzione dei pezzi (traduco con «Incastro»);
Bottom è un tessitore, e il suo nome si riferisce al fuso del telaio attorno al
quale si attorce il filo (traduco con «Rocchetto»); Flute è un aggiustatore di
mantici, ed ha dunque a che fare con gli organi di chiesa o con le

