Page 2332 - Shakespeare - Vol. 1
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BOY ET
Sotto la fresca ombrìa d’un sicomoro
volevo appisolarmi una mezz’ora,
quand’ecco, a disturbarmi il pisolino,
verso quell’ombra, vedo, s’avvicinano
il Re e i suoi compagni! Di soppiatto
a un cespuglio lì accanto io striscio come un gatto,
e lì vi origlio ciò che qui sentite:
saranno qui a momenti, travestiti.
Il loro araldo è un furfantel di paggio
che già ben a memoria ha imparato il messaggio.
Gesti e accenti laggiù gli hanno insegnati:
“Devi parlar così”, “fare gesti garbati”.
Poi gli veniva il dubbio, così di tratto in tratto,
che la vostra presenza potesse scorbacchiarlo;
“Perché”, diceva il Re, “è un angelo che vedrai,
ma tu non aver paura, parlale franco assai.”
E il moccioso rispose: “Un angelo non fa male,
invece l’avrei temuta se fosse stata un diavolo”.
Al che ridono tutti, gli dan pacche sulle spalle,
e quel briccone sfacciato lo fan più rompiballe.
Uno si gratta il gomito, così, e ghigna e giura
che un discorso migliore non s’è udito, è sicuro!
Un altro fa schioccare l’indice e il dito grosso,
grida: “Via, lo faremo, comunque vada la cosa!”.
Il terzo fa un saltello, esclama “Va tutto bene!”
e il quarto piroetta e ruzzola per le terre.
Al che tutti quant’insieme si rotolano sull’erba
con risa così profonde e così fervide,
che in quest’accesso di risa saltan fuori,
a frenar la follia, cupe lacrime di passione.
PRINCIPESSA
Ma di’, dimmi, verranno a visitarci?
BOY ET
Verranno sì, e perciò sono addobbati
da moscoviti o russi, crederei.
Lo scopo è di trattare con voi, farvi la corte,
ballare, e poi ciascuno farà dichiarazione
alla bella, che riconosceranno

