Page 2303 - Shakespeare - Vol. 1
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OLOFERNE
Se non fate sentire gli apostrofi, vi fate sfuggire il ritmo. Lasciate ch’io
sopravveda la canzonetta.
Prende la lettera.
Qua va bene solo la metrica; ma in quanto all’eleganza, alla scorrevolezza,
e alla soave cadenza del carme, caret. Ovidio Nasone, lui ci sapeva fare, e
invero perché ‘Nasone’ se non perché sapeva fiutare i fiori odorosi della
fantasia, gli scatti dell’invenzione? Imitari è nulla di nulla. Lo fa il cane col
suo padrone, la scimia col suo guardiano, e il cavallo bardato col suo
cavaliere. Ma dite, mia vergine damigella, è stato questo a voi indirizzato?
GIACHENET T A
Messersì, da un certo Mossier Birùn, ch’è l’uno dei signori della Regina
forastiera.
OLOFERNE
Fatemi un po’ vedere la sovrascritta. (legge) Alla nivea manina della
stupenda madonna Rosalina. Io vo’ scrutare di nuovo l’intendimento della
missiva, onde precisare colui che scrive alla persona cui viene scritto: Il di
Vossignoria in qualsivoglia servigio ch’ella mi possa chiedere, Berowne.
Don Natalino, questo Birùn è uno di quei che han fatto voto col Re, e qui
ha composta un’epistola ad una seguace della Regina forastiera, la quale
missiva per accidente ovver nel corso del suo viaggio ha presa la via
sbagliata. Trotterella, dolcezza mia, e consegna sta carta nelle regali mani
del Re; può avere parecchia rilevanza. Non perdere tempo co’ convenevoli,
ti dispenso dall’obbligo. Adieu.
GIACHENET T A
Buon Melacotta, accompagnami tu. Monsignore, Dio vi tuteli la vita.
MELACOT T A
Eccomi tutto a te, forosetta mia.
Escono Melacotta e Giachenetta.
DON NATALINO
Monsignore, avete fatto sta cosa nel timore d’Iddio, da omo assai devoto. E
come disse quel Padre...
OLOFERNE
Don Natalino, lasciamoli stare sti Padri, ch’io temo quei pennoncelli che

