Page 2079 - Shakespeare - Vol. 1
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assisterlo assiduamente, giorno e notte,
assecondando le sue stramberie con ogni compiacenza,
finché il tempo non produca un qualche rimedio adeguato.
MARCO
Miei congiunti, ai suoi dolori non c’è più rimedio.
Unitevi ai Goti, e in una guerra di vendetta
castigate Roma per questa ingratitudine
e vendicatevi del traditore Saturnino.
TITO
Allora, Publio? allora, miei signori?
L’avete dunque trovata?
PUBLIO
No, mio buon signore; ma Plutone ti manda parola,
che se vuoi Vendetta dall’inferno, l’avrai.
Giustizia, invece, è così indaffarata,
pensa lui, con Giove su in cielo, o in qualche altro posto,
che ti sarà giocoforza aspettarla per un pezzo. 204
TITO
Mi fa torto a trattarmi con indugi.
Mi tufferò nel lago bruciante, 205 sottoterra
e la tirerò per i talloni fuori dall’Acheronte. 206
Marco, noi siamo arbusti, non cedri, noi;
non uomini dalle grandi ossa fatti a misura dei Ciclopi;
ma metallo, Marco, acciaio, fin nella schiena,
eppure oppressi da più torti di quanti la nostra schiena possa portare.
E poiché non c’è giustizia né in terra, né all’inferno,
ci rivolgeremo al cielo e smuoveremo gli dèi
a mandar giù Giustizia a vendicare i nostri torti.
Su, all’opera. Tu sei un buon arciere, Marco.
[Distribuisce le frecce]
Ad Jovem, questa è per te; qui, Ad Apollinem;
Ad Martem, questa è per me stesso;
qui, ragazzo, per Pallade; qui, per Mercurio;
per Saturno, Caio, non per Saturnino:
sarebbe come tirarla controvento.