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Giulio Cesare, Antonio e Cleopatra e Coriolano), configurandosi piuttosto
come azione di vendetta in una faida di più ampio, e vago, rilievo
antropologico. In questo primo fra i suoi drammi «romani», Shakespeare
non ha alle spalle la guida, sia storico-cronachistica che ideologico-politica,
di una fonte autorevole come le V i t e di Plutarco, su cui modellerà i
successivi tre drammi d’argomento romano. Quasi certamente, secondo il
diffuso uso dell’epoca, e suo personale, egli usò una fonte anche in questo
caso; ma tale fonte non dovette essere né classica né autorevole, se gli
trasmise la fabula, sensazionale e orrifica, senza fornirgli un adeguato
orientamento storico-politico. Tale fonte potrebbe essere, come
sostengono in molti, la narrazione in prosa dal titolo The History of Titus
Andronicus, the Renowned Roman General, Newly Translated from the
Italian Copy printed at Rome, pubblicata sotto forma di libriccino da Cluer
Dicey tra il 1736 e il 1764. Tale testo, ritrovato alla Folger Library, fu
indicato come fonte del dramma, nel 1936, da J.Q. Adams, che lo considerò
una più tarda ristampa di un’opera già tradotta dall’italiano nel
Cinquecento. Ma è solo una congettura, finora non provata. Non pare
necessario riassumere qui le vicende che in tale libriccino sono narrate,
anche perché, a parte l’inizio, che dà più spazio del dramma a guerre
romano-gote collocate vagamente al tempo di Teodosio, e a parte qualche
variante di non grande rilievo, i fatti sono più o meno gli stessi
rappresentati nella tragedia, e riproducono, ancor più fedelmente, quelli
raccontati da una ballata, dal titolo Titus Andronicus’ Complaint, pubblicata
da Richard Johnson nel suo Golden Garland of Princely Pleasures nel 1620.
Questa ballata potrebbe essere la stessa iscritta nello «Stationers’
Register» dallo stampatore John Danter quel 6 febbraio del 1594 in cui egli
stesso aveva registrato anche il dramma shakespeariano: infatti, subito
dopo la registrazione della «nobile storia romana di Tito Andronico» (la
nostra tragedia), egli ne iscriveva «the ballad thereof». Che cosa si voleva
intendere con quel «thereof»? Che la ballata trattava lo stesso personaggio
o la stessa storia del dramma? Oppure che la ballata era stata tratta,
ricavata, dal dramma appena menzionato? La seconda ipotesi sembra la
più plausibile. A noi è rimasto, però, solo il testo della ballata stampata nel
1620. Si tratta di una composizione di 120 versi, in trenta quartine a rima
baciata: aa bb cc dd ecc. Tito Andronico vi racconta in prima persona tutta
la sua tragica storia, che corrisponde molto fedelmente alla storia narrata
dalla tragedia. Se si dovesse supporre che il dramma ebbe come fonte
questa ballata nella sua prima apparizione a stampa oppure manoscritta, e
non viceversa, ci troveremmo di fronte ad una prassi del tutto anomala per
Shakespeare, che apportava sempre modifiche anche sostanziali alle storie
che ricavava dalle fonti, fossero pure fonti ben più articolate e vincolate ad
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