Page 1755 - Shakespeare - Vol. 1
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medievale Sir Eglamour d’Artois. È descritto (IV, iii) come cavaliere ardito e
virtuoso, vedovo inconsolabile e per di più votato a castità perpetua.
L’uomo ideale a cui affidare il proprio onore di donna - s’illude Silvia: ma
non la propria incolumità. Il precipitoso finale lo liquida in due righe:
Dov’è il gentiluomo ch’era qui con lei? -
Agile com’è, ce l’ha fatta a scappare...
(V, iii, 6-7)
Un cavaliere medievale senza macchia, ma non senza paura. Resta da
parlare dei Fuorilegge, banditi non per colpa di leggi tiranniche e reggitori
crudeli, come Robin Hood e i suoi, ma per misfatti di cui portano intera la
responsabilità. Tra essi e Valentino si crea un feeling istantaneo. Valentino
s’inventa una storia: ha - come il Secondo Fuorilegge - ucciso un uomo in
duello (il che tra l’altro significa: «Sono uno come voi, e attenti, che come
spadaccino non scherzo»). La colpa del Terzo Fuorilegge è d’aver tramato il
rapimento d’una dama «più o meno imparentata con il Duca»: tal quale
Valentino. Piccoli eccessi di gioventù, insomma: gli ex-gentiluomini, pur
inselvatichiti da una esistenza randagia, non han perso la memoria del
consorzio civile, e di fronte a un così bel giovane, «versato nelle lingue, ed
in possesso di quei raffinamenti / che a noi, in questa professione, fan
difetto», lo eleggono a loro duce.
Un’altra infatuazione a prima vista, e un altro mito inossidabile: quello del
bandito-gentiluomo. Assoluto fair play quindi, verso «donne indifese e
poveri viandanti». Certo, Valentino dovrà «faticare un bel po’, per
trattenerli da selvaggi eccessi», ma saprà restituirli alla società ravveduti al
punto da proporli al Duca per alte cariche dello Stato. «Son malviventi, ma
uomini d’onore» (an honourable kind of thievery): l’ultima battuta di Svelto
nel dramma.
Più che parodiare la convenzione del greenwood, sembra che Shakespeare
si sia concesso qualche momento di assoluta levità, sia stato preso da
incontenibile spirito festevole. Lo spettatore inglese, alle prese coi
Fuorilegge, non può non pensare agli umori whimsical - amabilmente
assurdi - delle operette di Gilbert & Sullivan, innocenti prese in giro
dell’austero ethos vittoriano: ai Pirati di Penzance, per dirne una. Noi
potremmo pensare al Teatro di Bonaventura di Sergio Tofano, al candore
naïf dei suoi orchi e malfattori: i più innocenti villains mai apparsi sulla
scena (tra l’altro, questo è l’unico dramma di Shakespeare in cui si chieda a
un cane di saper recitare: un cane indimenticabile - come il Bassotto di
Bonaventura).
Se lo spirito di queste tre brevi scene (IV, i - V, iii e V, iv) è innocentemente