Page 1753 - Shakespeare - Vol. 1
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ultimo esemplare nel Motto (Mote) di Pene d’amor perdute. Svelto è
pertanto qualcosa di altro e diverso dal servo di derivazione classica, tipo
Commedia degli errori: linguacciuto quanto basta, e servo quanto basta.
Svelto non crea situazioni comiche: si limita a commentarle. È svelto solo
nel menare la lingua: gli altri gli danno del posapiano, e l’unico amore da
lui confessato è quello per il suo letto. Tale distacco emotivo gli permette
di vedere ciò che il padrone non vede: come quando Silvia induce Valentino
a comporre una dichiarazione d’amore a se stesso (II, i). Ma tale è la sua
inconsistenza umana che l’autore, dopo averlo portato con gli altri nella
foresta, si dimentica di lui.
Altro è il caso di Lanciotto, progenitore di una genìa di grandi clown:
Launcelot Gobbo (il servo di Shylock nel Mercante di Venezia), lo sbirro
Dogberry di Molto rumore per nulla, il buffone Touchstone di Come vi
piace, e l’ineffabile Bottom, il tessitore del Sogno. Il nome (Launce) è
forma abbreviata di Launcelot, dall’antico francese L’ancelot (l’attendente o
ausiliario). Ma la sua funzione è tutt’altro che ausiliaria, e in genere è
privilegio del primo attore interpretarlo. All’insipienza e follia dei
personaggi nobili il clown oppone un suo prosaico ed eccentrico senso della
realtà; e non a caso è proprio Lanciotto a definire Proteo «uno che vuol
fare il furbo» (a kind of knave) e Valentino «un imbranato» (a notable
lubber): definizione sintetica quanto centrata.
La riuscita del personaggio è affidata al piglio profondamente serioso con
cui egli affronta i casi della vita, alle inflessioni popolaresche della sua
parlata, al peculiare rapporto col cane Cànchero: la grande trovata comica
del dramma (Crab sta per ‘granchio’, e crabbed per ‘piantagrane’, o
carattere imprevedibile e ringhioso). Le memorabili sortite di Lanciotto
fanno da contrappunto alle vicende di dame e cavalieri: una crudele,
inconsapevole parodia. L’addio alla famiglia ( II, iii) è parodia della scena
precedente, con il lacrimoso addio di Giulia a Proteo, ed il contrasto tra un
padrone che sentenzia che al vero amore si addice il silenzio, e un servo
che nel silenzio del cane sente assenza di amore. Il dialogo con Svelto (II,
v) parodia anch’esso la scena che precede. La reticenza del clown sui
rispettivi padroni («non mi caverai un tal segreto se non per parabole»)
contrasta con la loquacità di Valentino che ha spiattellato a Proteo ogni suo
segreto. Il catalogo di pregi e difetti della donna senza nome di Lanciotto
(III, i) è una versione servile della competizione laudatoria dei Gentiluomini
(II, iv): concetti stilnovistici, petrarchismo di maniera, incorporee virtù. Ma
Lanciotto va al sodo: alle molte magagne della donna, tipo l’alito cattivo,
oppone attitudini domestiche, sani appetiti sessuali e un bel gruzzolo di
dote (e forse che il Duca guarda tanto per il sottile nel favorire Turione per
il suo denaro?). L’ultima sortita del clown ( IV, iv) comporta un commento