Page 1751 - Shakespeare - Vol. 1
P. 1751
L’occhio vien prima della mente e del cuore. Di Silvia s’invaghisce a prima
vista. La sua bellezza, che per Valentino è innanzitutto lo specchio di una
intima essenza, di un’entità spirituale («una creatura celestiale», a
heavenly saint), per Proteo è «un’impareggiabile visione terrena», quindi
un oggetto di desiderio. E poiché idolatria è adorazione di un’immagine,
quando la donna gli sfugge gli basterà il suo ritratto. Siamo qui nel pieno
della dialettica fra l’essere e il sembrare, fra substance e shadow, così viva
nella cultura del tempo, e sempre centrale nell’opera di Shakespeare.
Incoerenze, contraddizioni, egocentrismo, ricerca di un modello,
inconsapevole invidia fanno di Proteo un personaggio non diciamo credibile
- dove andrebbe a finire il romance? - ma godibile e vitale sul piano
scenico. Debolezze, cadute e piccole viltà ne fanno, in un certo senso, uno
di noi. Un qualche Proteo, da qualche parte nella nostra vita dobbiamo
averlo incontrato. Il suo «A me stesso io son più caro d’un amico» (II, vi,
23: I to myself am dearer than a friend) - un sacrilegio per i rari cultori
dell’Amicizia con la A maiuscola - lo rende pericolosamente vicino al
sentire comune. Di qualche spiacevole verità Proteo è certamente custode:
l’amore eterno in realtà non esiste, non c’è nulla di sacro per l’egoismo del
sesso; uomini e donne sono, dispiace dirlo, intercambiabili.
I due gentiluomini amano (o meglio desiderano) due gentildonne: di pari
bellezza (lo stesso Proteo lo ammette) ma differenti per rango. Silvia è la
più altolocata (difatti vien segregata in cima a una torre...): prigioniera del
suo rango e ancor più del suo ruolo di donna d’alto sentire. Una figura
volutamente stilizzata, benedetta da virtù trinitarie: «Troppo onesta,
troppo sincera e pura» (too fair, too true, too holy ) - la dichiara Valentino.
«Bella, saggia e santa» (Holy, fair and wise is she ) - intona Proteo
accompagnato dai musici. Silvia è holy («sacra», «santa»), sacred (tradotto
con «adorata» per non rischiare il ridicolo) e naturalmente «divina»,
«celestiale», e via dicendo: un astro nel firmamento, una creatura solare.
Se questo dicono i suoi ammiratori, non spetta a Silvia smentirli. Può però
dimostrare di non essere una statua di cera, ed ha abbastanza iniziativa da
sfidare l’augusto genitore e lanciarsi in una perigliosa avventura. Una
donna angelicata pronta a evadere dall’alta torre con una scala di corda,
una dama di corte pronta a sfidare le convenzioni.
Personaggio di un certo spessore è invece Giulia (un nome forse suggerito
dalla Giulietta veronese del Brooke). Giulia è creatura di carne e di sangue.
Anche lei giovanissima, diventa donna attraverso il dubbio, l’attesa, la
sofferenza. Molto ha investito in un uomo che non la vale, e per lui è
pronta a battersi e a rischiare. Ha perso le qualità ariostesche del suo
modello Felismena per acquistare in consistenza umana. Insicurezza e
trepidazione emergono dai dialoghi con la perspicace Lucetta (l’episodio