Page 1749 - Shakespeare - Vol. 1
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richiedeva discrezione assoluta (la faccenda della scala di corda) si è
rivelato di un’ingenuità disarmante. Persino il rozzo Lanciotto gli dà
dell’«imbranato». Quando poi ha la fortuna di capitanare i fuorilegge più
temuti della regione - osserva Kurt Schlueter - «trascorre il tempo a
sospirare per Silvia e a riformare la moralità dei suoi uomini». E ora sottrae
la sua bella all’assalto di Proteo solo per consegnargliela con tutti gli onori.
Perché lo fa? Per emulare la «gran bontà de’ cavalieri antichi»? Per
riscattarsi davanti al Duca e a se stesso con un gesto supremamente
magnanimo? O perché adesso che Silvia può essere veramente sua ha
forse paura di venire al dunque? In tal frangente lo salvano la presenza di
spirito di Giulia che riconquista sul campo - è il caso di dirlo - l’amore di
Proteo, e la bonarietà del Duca che lo proclama ipso facto il migliore dei
gentiluomini. Ma resta il fatto che al lieto fine si arriva solo per capriccio
del caso, e per il coraggio e l’iniziativa di due giovani donne. Si è scritto
che Valentino è scarsamente dotato di materia grigia - caratteristica fatale
per un eroe da romance. Certo, in lui Shakespeare ha inteso soprattutto
parodiare una serie di convenzioni letterarie, ma il suo - come sempre -
non è soltanto un gioco: «È tipico di Shakespeare fare di Valentino
un’anima bella e, allo stesso tempo, un babbeo [...] Gli eroi di queste
commedie romantiche han normalmente un aspetto bifronte: della loro
follia vengono alfine curati, e quel che rimane è la loro finezza interiore»
(Hereward T. Price).
Ma c’è qualcosa di più inquietante in Valentino. Se ammira Proteo - e se
c’è in lui un inconfessato sedimento d’invidia - a maggior ragione Proteo
deve ammirare Valentino, e invidiarlo a sua volta: per il profitto negli studi,
le «meraviglie del vasto mondo» che lui va a scoprire, quella sua aria di
uomo fatto che sa ciò che vuole; perché suo padre non fa che additarlo ad
esempio, perché lui sa di poter aspirare alla figlia di un Duca. Valentino è il
modello di Proteo e non può non saperlo. E quando intesse un panegirico a
Silvia davanti all’amico (II, iv), Proteo cerca di tenergli testa vantando i
meriti di quella Giulia per la quale (secondo Valentino) non valeva la pena
di restare a infiacchirsi a Verona. Non tanto ai begli occhi di Silvia è dovuta,
checché lui ne pensi, l’infatuazione di Proteo, quanto al desiderio di
emulare l’amico più in gamba. «Son gli occhi miei, o le lodi di Valentino» -
si domanda - «che sragionando mi portano a ragionare così?»: per un
attimo, nella tempesta del dubbio, ha intravisto la verità. E Valentino ha la
sua parte di colpa nella mutazione di Proteo. Quelle lodi iperboliche non
sono del tutto innocenti: c’è in esse il sottile piacere del primo della classe
nel riaffermare il suo primato. Proteo accusa il colpo: s’inverte la direzione
del suo desiderio. Fortuna vuole che Silvia abbia la testa sulle spalle: le
lodi che Valentino aveva tributato a Proteo non la spingono nelle braccia
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