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e della messa in scena originarie... (1985).

Il discorso di Evans può valere più che altro per quei testi che meglio si
prestano a una lettura - o dislettura che sia - tesa a combattere il
logocentrismo (es. Love’s Labour’s Lost ) o la rigidità della lettera scritta
(es. The Merchant of Venice): la costruzione della Comedy sembra puntare,
e di fatto conduce, a una sintesi armoniosa, che segna la conciliazione, il
perdono, la “ricucitura” di tutte le lacerazioni operate nel testo. Quello che
le manca, rispetto ad altre e più sfaccettate opere del canone, è presto
detto: manca la dimensione notturna, manca la luce beffarda e stregata
della luna. In questa serie di intrighi, equivoci, paure e condanne che
debbono comunque tutte risolversi alle cinque della sera, le stregonerie
sono solo frutto di equivoco o, come nelle scene dell’esorcista Pinch, di
buffa ciarlataneria; in nessuna occasione si esce dal contesto consueto e
tranquillizzante della città, la città del palcoscenico classico, una piazzetta
circondata da due o tre case, l’albergo, l’abbazia; né si parla mai di quel
bosco che, come notava Marcello Pagnini a proposito di Midsummer Night’s
Dream, è sempre irrazionale, caotico, misterioso, uno spazio altro rispetto
all’ordine della polis, riservato alle sbrigliate fantasie del lunatico,
dell’innamorato e del poeta.
Questo perché la dimensione rigorosamente diurna, l’ossequio raro in
Shakespeare all’unità di tempo, fanno sì che, al momento in cui inizia, la
commedia sia di fatto già vicina a concludersi, e positivamente: si profila
già un possibile (inevitabile?) scioglimento degli errori, la peripeteia, per
riprendere la terminologia che Frye mutua da Aristotele, sta già diventando
anagnorisis. Le tappe della drammatica separazione della famiglia -
naufragio, divisione fra marito e moglie, gemello e gemello, servo e servo;
partenza del gemello siracusano alla ricerca dell’altro e mancanza di sue
notizie - sono già tutte contenute nell’antefatto narrato da Egeone, lungo
racconto che di per sé costituisce un primo provvisorio differimento della
sua messa a morte («Ora sai come ogni gioia / mi sia negata, come la
sventura / prolunghi la mia vita al solo scopo / di raccontare questa triste
storia», I, i, 118-120); appena taceranno questi dolorosi ricordi, lo
spettatore saprà che tutte le fila dell’intreccio sono ormai tirate (gli manca
solo di conoscere l’ultima tessera del puzzle, quella fornita al finale da
Emilia); e si renderà conto che tutti i personaggi spariti sono ricomparsi e
compresenti sulla scena, pronti a “riconoscersi”, anche se di fatto ancora
ignoti gli uni agli altri.
«I misteri», scrive Frye a proposito della Comedy of Errors (e di Twelfth
Night), «sono tali solo per i personaggi sulla scena, in quanto il pubblico ha
già potuto cogliere dei segnali e non fa che seguire il completamento del
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