Page 1547 - Shakespeare - Vol. 1
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moglie inferocita sia dalla prostituta, a cui per evitare il peggio chiede la
restituzione del famoso mantello, senza sapere che la donna l’ha affidato al
Viaggiatore per farlo adattare da un sarto, insieme ad altri gioielli e
cianfrusaglie di analoga provenienza e allegramente intascati dal
Viaggiatore stesso. Nel quinto e ultimo atto, la Moglie con l’aiuto di suo
padre fa arrestare il marito, che viene dichiarato pazzo da un medico, e
disperato e inferocito decide di fingersi appunto invasato da Apollo; ma
tutti gli equivoci saranno chiariti dallo schiavo Messenio, che mette l’uno di
fronte all’altro i due gemelli, ci guadagna la libertà, e chiude la commedia
improvvisandosi banditore di un’asta farsesca dei beni mobili e immobili del
Menaechmus locale, inclusa la Moglie; i due gemelli infatti partiranno
insieme per Siracusa, dove si trovano tutti i beni della famiglia. Già
radicalmente diversa, dunque, l’apertura della Comedy, che inizia con la
condanna a morte di Egeone, il padre dei due gemelli, e con il Duca che
benevolmente accetta di rimandare l’esecuzione di qualche ora: l’intera
serie di equivoci e di giochi teatrali si dovrà svolgere all’ombra di questa
annunciata messa a morte della figura paterna, in un clima che per certi
aspetti anticipa taluni problem plays come Measure for Measure; e si
concluderà poi davanti all’Abbazia (e alla forca poco lontana, per fortuna
ormai inutile) in un nuovo spirito di riconciliazione e di perdono segnato
dalla riapparizione della Madre, anticipando stavolta l’intera serie matura
dei grandi romances: e in particolare proprio The Tempest , grazie all’uso
ossessivamente scandito del Tempo, ai “rimandi”, alla necessità di lunghi
flashbacks. (È davvero difficile, in Shakespeare, tener distinte le fasi, le
epoche: e giustamente A. Lombardo parlava, già di fronte alle prime
commedie, di «fuga dal genere».)

In una delle più famose edizioni teatrali della Comedy, quella diretta da
Theodore Komisarievsky a Stratford nel 1938, un grande orologio al centro
della scena batteva le ore a casaccio, le lancette rimanevano immobili o
correvano affannosamente per riguadagnare il tempo perduto: dunque
anche in uno Shakespeare giovanile e insolitamente rispettoso delle unità
di tempo, luogo e azione, anche in un testo che non fa che insistere su
certi appuntamenti fondamentali e imprescindibili (il pranzo del
mezzogiorno, ricordato in I, ii, 43 e in infinite altre occasioni; le fatali
cinque della sera, quando Egeone deve essere giustiziato: «By this, I think,
the dial points at five», dice solenne e minaccioso il Secondo Mercante, in
V, i, 118), in realtà si riesce a dimostrare, con burleschi sofismi, che non è
vero che ci sia un tempo per ogni cosa (II, ii, 63 e sgg), e Dromio di
Siracusa può ben dire all’ironica e scettica Adriana che dopo le due sta per
scoccare l’una:
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