Page 1545 - Shakespeare - Vol. 1
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angosciata, non vista, si disperde.

                                     [I, ii, 35-38]

Pe r c h é unseen? ha osservato un critico (E.M.W. Tillyard, 1965).
Normalmente, chi cerca gli altri, come Antifolo cerca il gemello, non si
preoccupa di essere visibile o meno: ancora una volta, apparentemente per
caso o senza saperlo, la parola shakespeariana sembra divenire
comprensibile solo alla nostra epoca, alla scuola dello sguardo e del
sospetto, all’io diviso di chi ha comunque bisogno della propria immagine
complementare prima di poter aspirare a qualcosa che somigli a
un’identità.
Di qui la tentazione di rileggere questo testo come commedia “salvata”
solo in parte e all’ultimo momento dal suo vero destino di tragedia: Gwyn
Williams (1964) osserva che dopo tutto Antifolo di Efeso, furibondo com’è,
potrebbe benissimo arrivare a uccidere sua moglie Adriana. È una
tentazione che peraltro non dovrebbe spingerci a forzature eccessive,
magari in direzione di Kafka o del pirandelliano Mattia Pascal (il marito
cacciato dalla propria casa, e tenuto rigorosamente fuori dalla porta
sbarrata, mentre le donne all’interno servono il pranzo all’altro, al Doppio).
La critica tradizionale si è basata anzitutto sulle modifiche apportate da
Shakespeare rispetto al meccanismo plautino (il cupo inizio con una
condanna a morte, sia pure brevemente “differita”; l’aggiunta di temi
amorosi, con la riduzione della figura della Cortigiana rispetto a quella
della moglie che si crede tradita, e a quella, interamente nuova, della
cognata Luciana, promessa di un futuro idillio per l’Antifolo siracusano) per
portare acqua al mulino dell’agiografia e del mito del Bardo: Shakespeare
che tutto riscatta e tutto trasforma in oro, anche la «stolida comicità dei
Romani» (Nevin Coghill, ante-1963). Se Geoffrey Bullough (1957) si limita
a indicare con accuratezza i momenti di adesione e quelli di massima
divaricazione rispetto ai Menaechmi, nonché le altre fonti via via utilizzate
(e brevemente indicate in nota), già Tillyard (1965) insiste sul romantic
framework fino a trasformare le sorelle Adriana e Luciana in eroine di
Scott, Austen, George Eliot, Arnold Bennett e D.H. Lawrence, non senza
una lontana radice addirittura nell’Antigone; e John Russell Brown (1957)
privilegia a sua volta i temi amorosi a svantaggio di ogni altro aspetto del
testo, mentre H.B. Charlton (1938) sottolinea che il latino amare, basato
solo sul richiamo della carne, è ben lontano dall’inglese to love, e ben poco
può fare il povero Shakespeare una volta deciso ad appoggiarsi a schemi
classici e alla superficialità plautina (meglio Terenzio, «che appare meno
bestiale»). C’è poi il caso quasi eroico di T.W. Baldwin, che dedica
praticamente tutta la sua impressionante scholarship, e forse buona parte
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