Page 1542 - Shakespeare - Vol. 1
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PREFAZIONE

                                                                                       La commedia è la tragedia che capita
                                                                                                                             agli altri.

                                                                                                  (Angela Carter, Figlie sagge)

Perfetto ingresso in quella vertiginosa Wunderkammer che è la galleria di
specchi e di metamorfosi delle commedie giovanili shakespeariane, The
Comedy of Errors è stata a lungo ritenuta, forse per la sua brevità (poco
più di millesettecento versi), forse per la sua aderenza al modello plautino
dei Menaechmi, la prima opera mai scritta da William Shakespeare: così
leggiamo anche in quella recente ricognizione neostoricista in terra
shakespeariana che è Shakespearean Negotiations, di Stephen Greenblatt
(1988). In effetti, al di là dei legami di carattere tematico e stilistico con
altre commedie quali The Two Gentlemen of Verona, Love’s Labour’s Lost e
soprattutto The Taming of the Shrew - dove, proprio come nella Comedy
of Errors, abbondano i travestimenti, gli scambi di persona, i supposes,
nonché gli accenni alle teorie paoline per cui la sposa deve ubbidire allo
sposo; e dove, sempre come in questo caso, l’azione è provvista di una
sorta di cornice - per quanto riguarda la data di composizione disponiamo
soltanto di un terminus ad quem: il 28 dicembre del 1594, giorno in cui la
commedia veniva rappresentata al Gray’s Inn come parte dei
festeggiamenti di Corte. Le principali ipotesi in merito sono riportate nel
paragrafo «Testo, data e fonti»: ma si può notare fin d’ora che Giorgio
Melchiori (1990), basandosi sull’incidenza in Shakespeare dei modelli
eufuistici, la pone comunque al secondo posto fra le commedie giovanili,
subito dopo il non ancora eufuistico The Taming of the Shrew: The Comedy
of Errors ci renderebbe «l’immagine di un giovane Shakespeare apprendista
stregone nel campo della drammaturgia», che si rifà a un teatro colto,
«affascinato dai meccanismi classici degli scambi di persona, dei simillimi,
consapevole perfino di una certa patina arcaica».
Rispetto al modello plautino - quello, particolarmente ovvio, dei
Menaechmi - Shakespeare peraltro non si limita affatto a ricalcare o
fornire un “adattamento”. Shakespeare aggiunge, amplifica, raddoppia il
“doppio” dei protagonisti, gemelli scambiati l’uno per l’altro durante una
giornata di febbrili equivoci, accostando loro due servi anch’essi gemelli e
non distinguibili fra loro; moltiplica, insomma, gli elementi di comicità e di
confusione. Al tempo stesso immerge una vicenda farsesca di scambi
d’identità in un contesto esotico e fiabesco, da vero e proprio romance: una
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