Page 1543 - Shakespeare - Vol. 1
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Efeso di stregoni e di incantesimi, un tempo degli equivoci e dei quiproquo
scandito da un invisibile metronomo eppure vago e inquietante come nei
sogni.
Certo, già in Plauto - a sua volta non un “inventore” assoluto d’intrecci,
punto d’arrivo com’è noto di una ricca tradizione della commedia greca - si
parla di doppi, e non solo di casuali “somiglianze”. Anche l’età classica, ci
insegna Vernant, conosceva oltre al mito speculare di Narciso una ricca
produzione di simulacri, il phasma che gli dei creavano a immagine dei
viventi, l’oneiros o apparizione evocata durante il sonno, la psychè dei
defunti, ad essi identica ma evanescente come ombra o fumo: all’inizio dei
Menaechmi il parassita Peniculus, personaggio ovviamente legato alla
Roma del II sec. a.C. e non conservato né da Shakespeare né da quella
traduzione inglese cinquecentesca dei Menaechmi (William Warner, 1595)
che è comunque successiva, alla domanda quid agis? risponde teneo
dextera genium meum, mi tengo stretto per mano al mio spirito protettore.
Analogamente, alla fine di The Comedy of Errors Adriana vede “due mariti”
di fronte a sé, e il Duca, perplesso, si chiede quale fra quei due Antifoli sia
l’uomo in carne e ossa, quale lo spirito, e chi possa decifrarli (V, i, 331-
333). Eppure il tema dello sdoppiamento acquista nel secondo caso
connotazioni diverse, e la diversità è ancor più avvertibile quando ci
troviamo di fronte all’operazione opposta e complementare, lo
smascheramento, la spiegazione degli equivoci e degli incubi, la soluzione
che automaticamente si presenta quando i due gemelli, finalmente,
appaiono non più l’uno al posto dell’altro ma uno accanto all’altro (V, 1062-
1064):
MESSENIO
Pro di immortales. Quid ego video?
MENECMO II
Quid vides?
MESSENIO
Speculum tuum.
MENECMO II
Quid negotii est?
MESSENIO
Tuast imago. Tam consimilest quam esse potest.