Page 1275 - Shakespeare - Vol. 1
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commenta Lucenzio. La più comune accezione elisabettiana del termine
wonder è miracolo, prodigio, cosa meravigliosa nel senso di straordinaria
(cfr. in V, ii, 106: «Here is a wonder, if you talk of a wonder»). Ma non
potrebbe esprimere uno stupore e una meraviglia, un interrogarsi o un
“dubbio” (come in V, ii, 107) sul fatto che Caterina sia veramente «così
domata», vista anche la stranezza di dare col verbo al futuro («she will be
tam’d so») un addomesticamento che sembra fatto e assodato? Questo
esile elemento di dubbio - riflesso o suggerito nella traduzione -
permetterebbe di lasciare aperto uno spiraglio sull’effettiva entità (o
sincerità) della sottomissione di Caterina - con un certo sollievo per la
conclusione della commedia, altrimenti indigesta alla sensibilità moderna.

Quest’ultimo, enigmatico enunciato - «Meraviglia, se permettete, che sia
così domata» - riaprirebbe una possibilità meno macabra sulla sorte e
sull’atteggiamento di Caterina (già nel primo Seicento, del resto, John
Fletcher in The Woman’s Prize, or the Tamer Tamed continuava la storia
rovesciando la situazione, come indica il titolo). Ma va detto che questo è
uno spiraglio di interpretazione per rendere la commedia più consona alla
nostra legittima sensibilità moderna. Nella sostanza, la progressione del
taming conserva tutte le brutali caratteristiche della coercizione fisica e
morale, dell’assoggettamento della volontà, della conversione della vittima
alle ragioni del carnefice, secondo modi che sono legittimamente
equiparabili, come si è detto, alle strategie dell’oppressione totalitaria (The
Taming of the Shrew come The Taming of the Jew , si potrebbe dire con
facile calembour, stante anche l’interesse che Shakespeare mostra per
questo secondo ambito dell’emarginazione e dell’oppressione in The
Merchant of Venice).
E non v’è dubbio che, storicamente, il punto di vista presentato nella
commedia è quello maschile e tradizionalmente elisabettiano, che gode
dell’oppressione cui è sottoposta la bisbetica, non ha molta simpatia per
Caterina, ed è pronto ad assistere ad una sorta di «Punch and Judy show»,
di cui semmai Shakespeare ha l’accortezza di rendere, nei termini
dell’epoca, ben più profonde e complesse implicazioni.
Nel processo di sottomissione, Petruccio va deciso e imperterrito per la sua
strada: «go thy ways», gli ripetono alla buona gli interlocutori ammirati (IV,
v, 23; V, ii, 181 e 188), ed è proprio quello che fa, fuor di metafora. Egli
incarna, si potrebbe dire, l’ideologia elisabettiana della sottomissione
femminile: «Marry, peace it bodes, and love, and quiet life, / An awful rule,
and right supremacy» (V, ii, 108-109), e prima aveva detto: «Is not this
well?» (V, i, 138). Teatralmente, è stato giustamente suggerito che per il
pubblico del tempo non c’era scampo per Caterina; non solo per tutti i
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