Page 1273 - Shakespeare - Vol. 1
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trattamento è solo sua (il cibo che riscalda, i, 158 e iii, 22, la vanità degli
abiti, iii, 165-179, la volontà caparbia di contraddire, iii, 189) e che solo il
carceriere potrà salvarla. Rispetto a lui, la vittima è una non-persona, mera
astante e spettatrice dei suoi antics, che dovrà accettare come propria
realtà.
La “cura” per far sentire la vittima colpevole e renderla complice, per
toglierle ogni parvenza di autonomia, per completare il lavaggio del
cervello, culmina nella privazione della referenzialità del linguaggio, nella
confusione dei termini del discorso: dovrà dire quel che le si vuole far dire
(qui l’analogia coi sistemi totalitari di indottrinamento per indurre alla
confessione è incredibile). In IV, v, Caterina accetta che il sole sia la luna, o
viceversa, a seconda di come vuole e impone Petruccio: «And be it moon,
or sun, or what you please» (13); «What you will have it nam’ed, even that
it is, / And so it shall be so for Katherine» (21-22). La resa della volontà è
completa, perché riguarda la subordinazione del linguaggio e del discorso
all’arbitrarietà del carnefice o carceriere, l’accettazione di una realtà
privata - l’“universo carcerario” - che non ha riferimenti con la realtà
comune. Caterina deve trattare il vecchio grinzoso da vezzosa verginella, e
poi contraddirsi e ammettere il proprio errore a seconda di come detta
Petruccio: «I hope thou art not mad» (41), lui le rinfaccia, e lei: «Pardon, I
pray thee, for my mad mistaking» (48).
A questo punto o stadio, la vittima è soggiogata fisicamente e quel che più
conta mentalmente, dirà e farà tutto quello che si vuole da lei. «The field is
won» (23), gioisce Ortensio, ma quella che lui giustamente chiamava, nei
termini della commedia, la taming-school di cui Petruccio è maestro (IV, ii,
54), ha per noi i connotati e i procedimenti che caratterizzano le “soluzioni
finali” dei lager o nei processi totalitari di fin troppo recente memoria.
Questa scena col vecchio, oltre a sancire la resa di Caterina, riconnette
all’intreccio di Bianca - che è proceduto in IV, ii e iv con la rinuncia di
Ortensio, il reclutamento del Pedante che faccia da “supposto” padre di
Lucenzio e ne concluda mercantilmente le nozze, e il piano per anticipare
tutti con la fuga. Questo intreccio si conclude in V, i, con la scena comico-
grottesca del padre finto a confronto con quello vero, della confessione e
del perdono degli innamorati. Alla fine della scena si ha l’episodio di
Caterina costretta a baciare in pubblico Petruccio (il celebre «kiss me,
Kate», 132): qui si potrebbe addirittura parlare (naturalmente ante
litteram) di una “sindrome di Stoccolma” - la sequestrata che si innamora
del carceriere - e c’è chi vi ha visto un momento di sua genuina adesione
femminile al marito (i, 134-135). L’idea è comunque che l’avvenuto
soggiogamento va manifestato ed esibito in pubblico, e ad essa si ispira la
lunga scena ii, che porta unitariamente a conclusione i due intrecci e
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