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non dico inosservata, ma in sottordine (specie nella rappresentazione
teatrale), con un’abilità di “mascheramento” del profondo (pur presente)
che si ritrova nelle grandi opere di Shakespeare.
Per quanto per certi versi odiosa, a un’analisi a freddo, la figura di
Petruccio è resa teatralmente indimenticabile: l’uomo di ventura che entra
in scena senza una fisima per la testa e ben precisi obiettivi su cui non fa
mistero, esuberante, pronto a tutto e ad ogni sfida, peremptory come si
definisce egli stesso. È irresistibile con Battista (II, i, 113: «Signor Baptista,
my business asketh haste») e con la malcapitata Caterina, con la quale sa
attuare alla meraviglia la tecnica del rovesciamento che si è prefissata (II,
i, 169 sgg.). Il suo primo incontro-scontro con lei - suadente, allusivo,
irriverente, allegro, imperturbabile, subdolo e falso - è un grande
momento di teatro, anche perché è l’unico in cui Caterina gli è alla pari. Il
loro è un vero e proprio match, condotto sul piano dell’aggressività, della
verve, delle battute, delle frecciate, dei repartees senza tregua e senza
fiato. Altro grande momento di teatro (sia pur narrato) è il suo arrivo sul
cavallo sgangherato e altrettanto male in arnese, e così la scena in sé
irresistibile delle nozze. Quando si mette ad attuare il suo piano, Petruccio
non ammette e concede più repliche; lascia tutti, servi, amici, parenti
acquisiti, moglie - e spettatori - letteralmente senza fiato. Le “prove”
crudeli e brutali cui sottopone Caterina sono un misto di intollerabile
prevaricazione e (occorre pur dire) sottile umorismo del teatro. Uccide con
le (finte) premure, e con uno sfoggio di umor bisbetico che non lascia
scampo; fa la morale sui vestiti, col tono saputo di chi sorride di se stesso,
che non si sa se ridere o infuriarsi con lui; gioca con le parole (come poi
farà Amleto), ma da smargiasso prenditutto: «Why, so this gallant will
command the sun», commenta Ortensio (IV, iii, 192). Alla fine prende
proprio tutto - doppia dote, doppia scommessa, una moglie come vuole lui
(almeno nei termini della commedia). Ottenuta la vittoria, ha gli occhi
lucidi di contentezza, un senso di trionfo misto a benevolenza fatta pagare
a caro prezzo.
È personaggio, si può dire, che salva la commedia da se stessa, a cui si
affida il suo successo - così come fa Caterina nella prima parte, pronta a
inalberarsi ad ogni spunto, imprevedibile, travolgente la sua parte: fa
mettere a tutti le mani nei capelli, fa infuriare e sorridere. Semina lo
sconcerto - ma poi ne è quasi tragica vittima, e il suo spegnersi, per così
dire, dà un contrappunto patetico all’andamento comico impresso
all’azione. Frustrata prima, quand’è bisbetica, e dopo, quand’è domata,
paga il prezzo di un’umanità tenuta fino in fondo, anche o soprattutto
durante l’“educazione” e la conversione. Perciò, se è spenta alla fine,
pensiamo che magari risorgerà - se non come voleva l’ideologia della