Page 1044 - Shakespeare - Vol. 1
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Volesse Dio che il cerchio della corona di aureo metallo
che deve cingermi la fronte
fosse acciaio infocato che mi bruciasse il cervello.
Ch’io sia unta di veleno mortale
e muoia prima che la gente possa dire «Dio salvi la regina».
ELISABET T A
Va’, va’, poverina; non invidio la tua gloria.
Non t’auguro male, per dare alimento al mio umore.
ANNE
No? Perché? Quando colui che ora è mio marito
venne da me, mentre seguivo il cadavere di Enrico,
s’era appena lavato le mani dal sangue
sgorgato dal mio primo angelico marito
e da quell’amato santo che accompagnavo piangendo;
oh, quando, dico, i miei occhi si posarono sul volto di Riccardo,
questo fu il mio augurio: «sii tu», dissi, «maledetto
per aver ridotto me, così giovane, a vedova così vetusta;
e quando ti sposi, che l’affanno non abbandoni mai il tuo letto;
tua moglie sia - se vi sarà donna tanto folle da sposarti -
più sventurata per la tua vita
di quanto tu m’abbia resa con la morte del mio diletto signore».
Ed ecco, prima che potessi reiterare la maledizione,
in un breve momento, il mio cuore di donna
cadde stupidamente prigioniero delle sue parole mielate
e divenne, esso, vittima delle imprecazioni del mio animo;
e da allora, queste hanno tolto il riposo ai miei occhi;
giacché nel suo letto non ho ancora goduto per un’ora
l’aurea rugiada del sonno,
svegliata continuamente dai suoi sogni atterriti.
Egli, inoltre, m’odia a causa di mio padre Warwick
e senza dubbio si sbarazzerà presto di me.
ELISABET T A
Poveretta, addio; le tue sofferenze mi fanno pietà.
ANNE
Non più di quanta ne provai io compiangendo dal cuore le vostre.