Page 543 - Galileo. Scienziato e umanista.
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egli lamentò una certa «malinconia» 135 . «Horsú, Sig. Galileo
caro caro, allegramente», scrisse Castelli nel tentativo di
riconciliare il proprio maestro all’oscurità perpetua. Dio mette
alla prova coloro che lo amano (tav. 5). Castelli inviò il
medesimo incoraggiamento a Dino Peri, il moribondo
professore di matematica di Pisa. «Mi rallegro dunque con esso
lei di vivo cuore, e la prego a partecipare questa mia allegrezza
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al nostro caro Sig. Galileo, acciò congionta questa allegrezza
con i suoi travaglij vada allegramente tolerandogli per amor di
Dio stesso, che ne resterà consolato con buona misura, e quello
che egli hora seminat in lacrimis in exultatione metet, et si ad
vesperum demoratur fletus, ad matutinum erit laetitia» 136 .
Castelli consigliò a Galileo di cercare conforto spirituale, e
quando questo non fosse stato sufficiente, di chiedere a Roma il
permesso di trasferirsi a casa di Vincenzo per poter avere
accesso piú facilmente alle cure. Galileo inoltrò la richiesta sulla
base della bozza preparata da Castelli. Il Sant’Uffizio inviò
l’inquisitore Muzzarelli a controllare che Galileo, noto
ipocondriaco, non si stesse fingendo malato. L’inquisitore si
presentò con un medico e senza aver preso appuntamento: «Io
l’ho trovato totalmente privo di vista e cieco affatto», riferí
Muzzarelli. «[O]ltre di questo ha una rottura gravissima, doglie
continue per la vita, et una vigilia poi, per quello che egli
afferma e che ne rifferiscono li suoi di casa, che di 24 hore non
ne dorme mai una intiera; e nel resto è tanto mal irdotto, che ha
piú forma di cadavero che di persona vivente». Muzzarelli
raccomandò che Galileo si trasferisse dal figlio per ricevere le
cure di cui aveva bisogno. Nell’approvare la grazia, Urbano
diede istruzioni che Galileo non andasse in giro per Firenze e
che non ricevesse visitatori con cui poter discutere «la dannata
opinione del moto della Terra». Come riferí il cardinale nipote
all’inquisitore di Firenze, «Sua Santità [ordina] che
particolarmente gli prohibisca sotto gravissime pene l’entrare a
ragionare con chi si sia de sí fatta materia». Un’ulteriore