Page 695 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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stesso tempo in cui Riccioli pubblicava il suo lavoro (Geographiae  et  hydrographiae
          reformatae, Bologna, 1661), uomini come Pierre Perrault, Edme Mariotte ed Edmond
          Halley,  tra  altri,  cominciavano  a  compiere  misurazioni  e  a  concepire  esperimenti  per
          determinare per esempio il tasso di evaporazione del Mediterraneo – secondo Halley,
          5280 milioni di tonnellate/ giorno – e il volume dell’acqua dei fiumi che sfociano in
          esso – ancora secondo Halley, 1870 milioni di tonnellate/giorno. L’evaporazione, che è
          nella realtà maggiore del 50% di quella calcolata da Halley, è in effetti circa otto volte
          maggiore della copiosità dei fiumi. (Per programmi di ricerca, si veda C. Solís, 1990,
          capp. 2 e 3.)
          È  chiaro  che  calcoli  del  genere  erano  del  tutto  pertinenti  agli  argomenti  che

          interessavano  a  Galileo,  come  per  esempio  quello  della  corrente  generale  del
          Mediterraneo e la sua intensità. Poco importa che le opere di Riccioli e le altre siano
          state pubblicate due decenni dopo la morte di Galileo, e d’altro canto gli autori usarono
          ben pochi dati non disponibili durante la vita di Galileo. E verso il 1620, il discepolo di
          questi,  Benedetto  Castelli,  già  aveva  elaborato  una  formula  per  calcolare  la  portata
          d’acqua  di  un  fiume;  sicché,  il  tipo  di  calcolo  necessario  era  a  sua  disposizione  ma,
          preso  com’era  dal  problema  delle  maree  e  dei  venti,  Galileo  preferì  ignorare  questo
          approccio.
          33  Si vedano i paragrafi 37 ss. del Saggiatore (Opere, VI, pp. 328 ss.).
          34   Nell’Orlando  Furioso  dell’Ariosto,  Orlando  si  rifiuta  di  accettare  l’evidenza  che

          Angelica, la donna di cui era innamorato, ama un altro, e perde la ragione. Meno chiaro
          è  il  riferimento  ad  Aristotele.  Galileo  si  riferisce  forse  alla  leggenda  che  ha  trovato
          molte  illustrazioni  nel  tardo  Medioevo  e  Rinascimento,  secondo  cui  Aristotele,
          notoriamente  misogino,  avrebbe  trovato  la  sua  punizione  nell’essere  infine  cavalcato
          dalla cortigiana Fillide, con grande scorno per la sua dignità.
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             In realtà, essendo il raggio terrestre di circa 6350 chilometri e il raggio dell’orbita
          attorno  al  Sole  di  circa  150.000.000  chilometri,  la  velocità  di  rotazione  terrestre
          all’equatore è di circa 0,46 km/s, cioè circa 460 m/s, mentre la velocità orbitale della
          Terra è di quasi 30 km/s. In altre parole, la velocità orbitale è circa 64 volte maggiore di
          quella della rotazione, e non tre volte, come dice Galileo. Per i calcoli di Galileo con le
          cifre che ha a sua disposizione, si veda l’Introduzione, pp. 123-24.
          36  Galileo gioca qui con le varie accezioni del termine travaglio, che da un lato designa

          un  lavoro  duro  e  faticoso,  come  pure  la  sensazione  di  angoscia,  il  tormento,  ma
          dall’altro designa la macchina di legno di cui si servivano (o forse si servono ancora) i
          veterinari  per  bloccare  i  cavalli  quando  resistono  a  lasciarsi  ferrare  o  curare.  Credo
          comunque che l’allusione sia principalmente alla seconda accezione, come risulta dal
          contesto del passo: Galileo ha dato dell’asino a Simplicio, e adesso Sagredo ci mette una
          pezzetta ricorrendo a un’immagine abbastanza ambigua.
          37  Nel 1602, nella corrispondenza con Guidobaldo dal Monte (Opere, X, pp. 97-100),
          Galileo già afferma l’isocronismo delle oscillazioni del pendolo ed enuncia il teorema
          delle  corde  (che  nei  Discorsi  apparirà  come  Teorema  VI;  Opere,  VIII,  p.  221),

          aggiungendo tuttavia che non sa dar ragione della meraviglia alla quale poi qui fa cenno,
          e cioè che un corpo impiega meno tempo nel suo percorso quanto più la traiettoria lungo
          piani inclinati sia vicina all’arco di cerchio. In seguito, però, nei Discorsi (Opere, VIII,



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