Page 693 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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molto  accomodatamente  risponderebbe  ai  miei  pensieri:  e  questo  è,  se  è  vero  che
          navigando all’Indie Occidentali, quando si è dentro a i tropici, cioè verso l’equinoziale,
          si habbia un vento perpetuo da levante, che conduca facilmente e felicemente le navi;
          onde poi per il ritorno sia di mestiere far altro viaggio et andar con più lunghezza di
          tempo  ricercando  venti  da  terra,  sì  che  in  somma  il  ritorno  sia  assai  più  difficile»
          (Opere, XIV, p. 54). La risposta di Buonamici reca la data del 1° febbraio 1630. Nel
          frattempo Galileo ha insistito più volte – il 24 dicembre 1620, il 5, il 12 e il 13 gennaio
          1630, Opere, XIV, pp. 60, 64, 66 e 67 – sul fatto che ha terminato il Dialogo e che lo sta
          rivedendo.  È  chiaro  tuttavia  che  ignorò  semplicemente  le  informazioni  fornitegli  da
          Buonamici. Questi, in effetti, gli dà notizia di alcuni libri a lui noti sulle maree, e si offre

          di  mandargliene  copia.  Soprattutto,  gli  comunica  di  avere  accertato  che
          «Universalmente affermano tutti li huomini celebri marinareschi, che in fra li tropici et
          l’equinotiale  regnino  continui  venti  di  levante»,  ma  sfortunatamente  aggiunge  anche
          qualcosa d’altro: «Mi ricordo che il Céspedes, nel Governo della navigatione, dice che
          in alcuni giorni dell’anno questi levanti sono interrotti dalli uracanes, che sono venti
          rotti  et  prodotti  dal  contrasto  di  diversi  venti  tra  di  loro,  che  propriamente  potremo
          chiamar procelle, et hanno anco nome speciale nel nostro volgare, che non mi ricordo.
          Li Spagnuoli con altro nome li dicono torbelines. Oltre a questo il medesimo Céspedes,
          et me lo confermano huomini di esperienza, dice che sotto la Linea si patiscono alcune
          volte tali calme, che i vascelli restano immobili» (Opere, XIV, pp. 74-75).
          È  chiaro  che  sia  gli  uragani  sia  soprattutto  le  calme  equatoriali  costituivano  una
          confutazione  della  teoria  galileiana  sugli  alisei.  La  risposta  di  Galileo,  dell’8  aprile
          1630, è significativa ma anche risibile: «Ho vedute le informazzioni che mi scrive circa
          gl’accidenti particolari de’ flussi e reflussi, e gliene rendo grazie, aspettandone ancora

          altre particolarità che mi accenna: ma di grazia non si lasci trasportar tanto dal desiderio
          di favorirmi, che si metta sino a mandarmi copia di lunghi capitoli di libri stampati; et
          un’altra volta basterà l’avvisarmi l’autore, perché qui si troverà» (Opere, XIV, p. 93). Il
          buon Buonamici, ancora all’oscuro di avergli fatto un favore di poco conto, il 28 giugno
          1631 gli invia un capitolo di libro e alcune informazioni aggiuntive, ma Galileo ne ha
          già  a  sufficienza  e  non  risponde.  L’aspetto  più  sorprendente  potrebbe  però  essere
          rappresentato  dal  fatto  che,  qualche  pagina  più  avanti,  Galileo  dà  a  intendere  che  la
          velocità di rotazione terrestre all’equatore sia di circa 800 o 1000 miglia all’ora, cosa
          che ci ha detto già in precedenza, ed equivale ad affermare che sia questa la velocità con
          la quale dovremmo attraversare l’aria tranquilla e che di conseguenza sarebbe la velocità
          del  vento  che  dovremmo  sentire.  E  non  sarebbe  proprio  una  brezza  né  dunque
          rispondente alle caratteristiche degli alisei.
          Tutto questo non impedisce, come si vede, che Galileo concluda il paragrafo dicendo
          che a quanto pare gli effetti dell’acqua e dell’aria concordano perfettamente con quelli
          celesti nel mostrare la mobilità della Terra. Ciò d’altra parte non ha impedito a certi
          storici di vedere in Galileo una sorta di empirista a oltranza. Si veda l’Introduzione, pp.
          114 ss.
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              Come  abbiamo  già  detto,  noi  oggi  li  chiamiamo  «alisei»,  venti  stabili  della  zona
          torrida con inclinazione nord-est o sud-est, a seconda dell’emisfero. Senza dubbio però
          Galileo  si  riferisce  al  termine  «brezza»  che  comincia  ad  apparire  nella  letteratura




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