Page 632 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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revolutionibus, libro III, cap. 6; Copernico, 1979, p. 386).
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              È  chiaro  che  con  questa  espressione,  sia  qui  sia  più  volte  in  seguito,  Galielo  si
          riferisce a Locher, l’autore del libro che sta commentando.
          86   Sosio  ricorda  qui  che  l’argomento  secondo  il  quale  l’universo  non  può  che  essere

          infinito, dal momento che infinita è la sua causa, è formulato più volte da Bruno. Ciò
          nonostante, va tenuto conto che, in tutta la sua argomentazione, Galileo si è servito di
          comparazioni e valori relativi senza mai riferirsi o pretendere di ricorrere a cifre o valori
          assoluti. In questo contesto, poi, anche l’espressione «spazio infinito», che non può non
          richiamare  l’attenzione,  a  mio  giudizio  non  va  intesa  in  senso  stretto.  In  ogni  caso,
          risulta evidente che, paragonata con le dimensioni di qualsivoglia stella, la grandezza
          dell’universo, vale a dire dello spazio, può considerarsi, relativamente, infinita. Si veda
          in merito l’Introduzione, pp. 79 ss.
          87  Effettivamente tale diversità esiste, e Bradley si ostinò a cercarla nella prima metà del
          secolo  XVIII,  scoprendo  che  le  stelle  descrivevano  una  piccola  ellisse  nel  corso
          dell’anno. Sorprendentemente, però, oltre ad altre anomalie, il semiasse maggiore di tale

          ellissi era esattamente uguale per tutte le stelle, cosa che, date le varie distanze delle
          stelle, non dovrebbe verificarsi nello spostamento parallassico. Nel 1728, Bradley si rese
          conto  che  tale  moto  apparente  era  dovuto  all’aberrazione  della  luce  causata  dallo
          spostamento della Terra intorno al Sole. Tenendo presente che la Terra si sposta di 30
          chilometri al secondo lungo la sua orbita, questa velocità, pur essendo diecimila volte
          minore di quella della luce, è tutt’altro che trascurabile e, durante l’osservazione di una
          stella,  obbliga  a  modificare  di  un  determinato  angolo  l’orientazione  del  telescopio  a
          mano a mano che si sposta lungo l’orbita terrestre. L’angolo in questione, uguale per
          tutte le stelle, determina il semiasse maggiore dell’ellisse di aberrazione. In definitiva,
          quindi, Bradley aveva ottenuto una prova della rivoluzione della Terra intorno al Sole,
          pur non cercandola. Quanto alla scoperta della parallasse, l’altra grande prova del moto
          annuo della Terra, si dovette aspettare più di un secolo. Con le sue osservazioni della
          stella 61 Cygni, durante il 1837-1838, Friedrich W. Bessel dimostrò infatti per la prima
          volta lo spostamento parallattico di tale stella. In generale, per le stelle più vicine, la
          distanza Sole-Terra non è trascurabile e, a causa del movimento della Terra intorno al
          Sole, tali stelle sembrano descrivere un’ellisse sullo sfondo del cielo stellato, fenomeno
          che in realtà rimane mascherato da quello della citata aberrazione annua, che è di ben
          maggiore entità.
          88   Senza  dubbio,  come  fa  notare  Drake  nella  sua  edizione,  Galileo  si  riferisce  a

          Francesco  Ingoli,  fondatore  del  Collegio  De  Propaganda  Fide.  Quando,  nel  1615,  in
          piena  campagna  copernicana,  si  recò  a  Roma,  Galileo  espose  la  sua  tesi  in  casa  di
          Lorenzo Magalotti. Ingoli era uno dei presenti e si offrì di mettere per iscritto le sue
          obiezioni,  del  resto  abbastanza  tradizionali,  alla  teoria  eliocentrica:  cosa  che  avrebbe
          fatto nel De situ et quiete Terrae contra Copernici systema (oggi in Opere, V, pp. 397-
          412)  che  però  non  pubblicò.  Nel  1624,  Galileo  scrisse  una  lunga  lettera  di  risposta
          (Opere, VI, pp. 509-561), nella quale compaiono tra l’altro gli argomenti qui esposti.
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              Nel  Trattato  della  Sfer,  Galileo  spiega  che  si  chiamano  «orizzonti  retti»  «quelli
          orizonti che passano per i poli» della sfera celeste, mentre «per l’opposito, sfera obliqua,
          o  vero  orizonte  obliquo,  si  dice  quello,  che,  non  passando  per  i  poli  della  diurna



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