Page 624 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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contenuto nel De revolutionibus, dove Copernico parla della genesi della sua opera. Un
          riferimento simile, ma alquanto più elaborato, è reperibile nelle Considerazioni  circa
          l’opinione copernicana (Opere, V, pp. 351 ss.). In definitiva ciò che forse va soprattutto
          rilevato,  è  che  effettivamente  Copernico  unì  la  capacità  di  predizione  all’ideale
          esplicativo. Aristotele aveva sviluppato la più importante cosmologia esplicativa fino a
          Copernico;  dal  canto  suo,  Tolomeo,  nell’Almagesto,  aveva  elaborato  un’astronomia
          matematica facendo ricorso agli espedienti geometrici più adatti per permettere buone
          predizioni  e  salvare  così  le  apparenze.  In  quest’opera,  però,  non  solo  Tolomeo  non
          pretende che i suoi espedienti geometrici descrivano  il moto reale dei pianeti né che
          salvino i moti di tutti i pianeti insieme, ma anzi non si cura del fatto che l’epiciclo usato

          per spiegare una determinata caratteristica d’osservazione di un pianeta, per esempio la
          velocità  della  Luna,  risulti  totalmente  incompatibile  con  un’altra  caratteristica  dello
          stesso pianeta, nel nostro caso il diametro apparente della Luna. E, sebbene nella sua
          Ipotesi  dei  pianeti  Tolomeo  avesse  tentato  una  certa  cosmologizzazione  dei  suoi
          eccentrici, deferenti, epicicli ed equanti, sta di fatto che la capacità di predizione e quella
          di spiegazione non erano facilmente unificabili e l’impegno nell’uno e nell’altro campo
          ebbero  sviluppi  di  notevole  indipendenza  reciproca.  L’astronomia  tecnica  degli
          «astronomi  puri»,  dal  Tolomeo  dell’Almagesto  in  avanti,  migliorava  notevolmente  la
          precisione  delle  predizioni,  soddisfacendo,  nella  misura  del  possibile,  le  necessità
          pratiche. Tuttavia, la descrizione fisica dell’universo, la spiegazione della sua struttura e
          del  suo  funzionamento  continuavano  a  dipendere  dalla  cosmologia  fisica  aristotelica.
          Come  ho  fatto  notare  nell’Introduzione,  Copernico  apportò  un  cambiamento
          epistemologico radicale in quanto ormai non considerava più accettabile l’indipendenza
          della ricerca della precisione nel campo della predizione e la descrizione e spiegazione

          cosmologiche.  Il  suo  sistema  spiegava  tutti  i  fatti  relativi  a  un  pianeta  in  maniera
          coerente e forniva una risposta unitaria ai moti di tutti i pianeti insieme. Egli affermò
          con  orgoglio,  a  proposito  del  suo  sistema  eliocentrico:  «Troviamo  così  in  questo
          ordinamento  un’ammirevole  simmetria  del  mondo  e  un  sicuro  nesso  armonico  fra  il
          movimento  e  la  grandezza  degli  orbi,  quale  altrimenti  non  è  possibile  trovare»  (De
          revolutionibus, libro I, cap. 10, in Copernico, 1975, p. 101). Copernico fu dunque un
          «astronomo filosofo», in grado di costruire un’astronomia sistematica tale da unire la
          precisione  in  fatto  di  predizione  e  la  descrizione  dell’universo  reale,  in  luogo
          dell’astronomia «mostruosa» in cui si era trasformato il sistema tolemaico, soprattutto in
          seguito alle numerose correzioni e aggiunte di cui era stato oggetto nel corso dei secoli.
          Il suo sistema non era molto più preciso di quello di Tolomeo, né molto più esplicativo
          di  quello  di  Aristotele,  ma  era  contemporaneamente  entrambe  le  cose  in  misura
          sufficiente, nonostante le difficoltà con cui si scontrava, per rappresentare una via di
          progresso nuova e promettente, di contro al vicolo cieco dell’astronomia tolemaica.
          59  Fu  questo  uno  degli  aspetti  decisivi  del rifiuto  di  Tolomeo  da  parte  di  Copernico.

          Tolomeo infatti aveva introdotto un espediente geometrico, secondo il quale il pianeta
          situato  nel  suo  cerchio  deferente  non  si  muoveva  uniformemente  intorno  al  proprio
          centro  geometrico,  bensì  rispetto  a  un  altro  punto  detto  equante.  Cosa  questa  che,
          secondo Copernico, implicava la violazione di un principio platonico accettato da «tutte
          le sette de filosofi», per dirla con Galileo, secondo il quale il moto dei pianeti doveva




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