Page 619 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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42  È inevitabile ricordare qui il caso dell’aristotelico Cremonini e il suo atteggiamento
          sulle scoperte compiute da Galileo con il telescopio, che costituisce un ottimo esempio
          dell’atteggiamento  descritto  in  questo  passo  da  Galileo.  Paolo  Gualdo  parlò  in  una
          lettera a Galileo della sua visita a quel peripatetico che stava per pubblicare un’opera
          sull’astronomia:  «Fui  uno  di  questi  giorni  dal  detto  S.r  Cremonino,  et  entrando  a
          ragionare di V.S., io le dissi, così burlando: il S.r Galilei sta con trepidatione aspettando
          che esca l’opra di V.S. Mi rispose: Non ha occasione di trepidare, perché io non faccio

          mentione  alcuna  di  queste  sue  osservationi.  Io  risposi:  Basta  ch’ella  tiene  tutto
          l’opposito di quello che tiene esso. O, questo sì, disse, non volendo approvare cose di
          che  io  non  ne  ho  cognition  alcuna,  né  l’ho  vedute.  Questo  è  quello,  dico,  c’ha
          dispiacciuto al S.r Galilei, ch’ella non habbia voluto vederle. Rispose: Credo che altri
          che lui non l’habbia veduto, e poi quel mirare per quegli occhiali m’imbalordiscon la
          testa: basta, non ne voglio saper altro. Io risposi: V.S. iuravit in verba Magistri; e fa
          bene a seguitare la santa antichità» (Opere, XI, p. 165).
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             Fu infatti questa la difficoltà nella quale si imbatteva l’omocentrismo di Eudosso che
          Aristotele  aveva  adottato  nella  sua  cosmologia.  Come  è  noto,  il  mondo  celeste
          aristotelico era composto da 55 sfere concentriche, al cui centro stava la Terra (Fisica,
          XII,  8-1073b  17-1074a  15).  All’interno  della  sfera  delle  stelle  fisse  esisteva  una

          successione di sfere che spiegava i movimenti di Saturno che è infisso nella parte più
          interna  di  questa  successione.  All’interno  di  questa  un’altra  sequenza  di  sfere
          riproduceva i movimenti apparenti di Giove, e lo stesso accadeva con gli altri pianeti
          fino  alla  Luna.  Di  questo  meccanismo,  a  noi  interessa  qui  un  punto  centrale:  dal
          momento  che  i  pianeti  sono  infissi  in  una  sfera,  il  postulato  necessario  è  che  siano
          sempre alla stessa distanza dal centro, vale a dire dalla Terra. Orbene, i cambiamenti di
          luminosità,  assai  notevoli  nel  caso  di  alcuni  pianeti,  per  esempio  Venere  e  Marte,
          vennero interpretati fin dall’inizio come una prova della variazione della loro distanza,
          cioè  del  loro  avvicinamento  o  allontanamento  rispetto  alla  Terra.  Fu  questa  la  causa
          fondamentale del perché, già dal tempo di Aristotele, vennero proposte varie spiegazioni
          dei moti planetari, basate per esempio sull’epiciclo-deferente e sull’eccentrico, e furono
          persino  proposte  cosmologie  diverse.  Per  esempio,  quella  di  Eraclide  faceva  girare
          Mercurio e Venere attorno al Sole, mentre questo si muoveva intorno alla Terra. Se,
          come è stato anche sostenuto da qualcuno, anche i restanti pianeti dovevano muoversi
          intorno al Sole, è chiaro che ci troviamo di fronte al sistema che Tycho Brahe avrebbe
          sviluppato secoli dopo. Va detto infine che Aristotele aveva consapevolezza di questa
          difficoltà  del  suo  sistema,  come  si  deduce  dal  celebre  testo  dell’astronomo  greco
          Sosigene  del  I  secolo  a.C.,  che  denuncia  i  citati  limiti  dell’omocentrismo.  «A  tale

          proposito,  neppure  Aristotele  era  soddisfatto  delle  sfere  rotanti,  sebbene  lo  attraesse
          l’idea che, essendo concentriche con l’universo, si muovessero intorno al suo centro.»
          Sosigene ci fornisce anche il testo immediatamente precedente di quello testé citato, di
          cui spesso non si parla (Metafisica, XII, 8, 1073b 6-16), dal quale risulta che Aristotele
          considerava provvisori certi aspetti della sua cosmologia, per esempio il numero delle
          sfere (si veda in merito Heath, 1913, pp. 221-223). Sicché Galileo aveva ragione quando
          cercava di separare Aristotele dagli aristotelici che gli si opponevano.
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             Come abbiamo visto in precedenza, questo è uno dei cinque aspetti o angoli formati



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