Page 621 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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Bucoliche e le Georgiche, BUR, Rizzoli, Milano, 1954, p. 34). Come si vede, il testo di
          Galileo ci riporta alla teoria tradizionale della visione secondo la quale questa consiste
          nella ricezione da parte dell’occhio delle specie o simulacri emessi dalle cose, in questo
          caso grazie a un processo di riflessione reso alquanto impreciso dal moto delle onde.
          51   Purtroppo,  come  si  vedrà,  Galileo  lascia  in  sospeso  la  risposta  e  passa  ad  altre
          questioni. Di conseguenza, non ci chiarisce il senso di questo passo, cioè delle obiezioni
          avanzate da Simplicio, e il testo resta ben lungi dall’essere chiaro. La difficoltà consiste

          nel fatto che dobbiamo capire quando l’allusione è al «sollevarsi in alto» e al «calare
          abasso», stabilendo qual è il loro rapporto con il fatto che la Terra è pesantissima.
          Naturalmente,  si  può  capire  che  un  aristotelico  non  possa  accettare  che  la  Terra  si
          allontani  dal  centro  dell’universo:  la  Terra  nel  suo  complesso  opporrà  la  stessa
          resistenza,  ma  proporzionalmente  maggiore  di  qualsiasi  delle  sue  parti
          all’allontanamento dal suo luogo naturale. Effettivamente, secondo Aristotele la gravità
          consiste nell’attrazione che i corpi pesanti avvertono da parte del centro dell’universo,
          che è nel suo luogo. Per tale ragione, una pietra o una montagna tendono verso il centro
          e muoverli è difficile. Questo riguarda a maggior ragione la Terra che è pesantissima, e
          pertanto difficile da muovere. Orbene, in questo passo questa realtà sembra riguardare la
          difficoltà di salire o scendere dalla Terra ed è certo che non è facile individuare questa
          relazione in nessuno dei due casi possibili. In primo luogo, nel suo moto annuo la Terra
          non  sale  né  scende  minimamente  perché,  come  Galileo  ha  affermato  con  forza  di
          continuo – e su questo punto in accordo con Aristotele – la sua orbita o orbe è circolare

          o  sferica,  in  altre  parole  non  si  avvicina  né  allontana  dal  centro,  ma  soltanto
          dall’equatore celeste.
          Tutt’al  più  si  può  considerare  la  possibilità  che  l’aristotelico,  sostenitore  del  sistema
          geocentrico, semplicemente inverta i ruoli del Sole e della Terra, attribuendo senz’altro
          le caratteristiche dell’uno all’altra. In altre parole, il piano dell’eclittica forma un angolo
          di  circa  23,5°  con  il  piano  dell’equatore.  Nella  teoria  geocentrica,  è  il  Sole  a  salire
          appunto di questi gradi verso nord, raggiungendo la declinazione massima nel solstizio
          estivo, e a scendere di altrettanto verso sud, raggiungendo la declinazione minima (–
          23,5°) nel solstizio d’inverno. Possiamo supporre che Simplicio ritenga che, nella teoria
          eliocentrica, a oscillare sarà la Terra, «salendo» e «scendendo» da nord a sud di questi
          47°. Ma, anche nel caso che così fosse, è evidente che questa «ascesa» o «discesa» nulla
          ha  a  che  fare  con  una  maggiore  o  minore  gravità,  dal  momento  che  non  incide
          minimamente sulla distanza della Terra dal centro, che è sempre la stessa. Inoltre, come
          è noto, non si può istituire questo parallelismo. Nella teoria eliocentrica di Copernico,
          l’obliquità  dell’eclittica  si  spiega  infatti  semplicemente  con  il  fatto  che  l’asse  della
          rotazione diurna della Terra è inclinato rispetto al piano della sua rivoluzione intorno al
          Sole appunto di 23,5° e, mantenendosi parallelo a se stesso, produce lo stesso effetto
          d’osservazione e la stessa variazione stagionale, del movimento del Sole nel modello

          geocentrico.
          È perciò difficile capire quale sia il senso di questa obiezione di Simplicio e, soprattutto,
          quello del rapporto tra i suoi due aspetti.
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             Già Copernico affermava che «le cose matematiche sono scritte per i matematici»,
          con  probabile  allusione  al  fatto  che  la  competenza  nel  campo  della  teologia  non  è




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