Page 618 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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ogni caso, però, e benché anche Robert Hooke abbia avuto un ruolo in questa vicenda,
          Huygens  è  di  solito  considerato,  con  le  sue  varie  ricerche  teoriche,  l’inventore
          dell’orologio  come  strumento  scientifico;  egli  pubblicò  le  sue  scoperte  nel  celebre
          trattato  del  1673,  Horologium  oscillatorium.  Si  veda  A.  Koyré,  Dal  mondo  del
          pressappoco  all’universo  della  precisione,  trad.  it.  di  P.  Zambelli,  Einaudi,  Torino,
          1967, pp. 87-111, specialmente pp. 109-110; G. J. Whitrow, 1989, pp. 120 ss.
          34  «Attaccarsi alle funi del cielo» equivale all’espressione moderna «arrampicarsi sui

          vetri».
          35
             Il «sino tutto» di Galileo è una traduzione del «sinus totus» latino, denominazione che
          in precedenza si utilizzava per designare il raggio del cerchio. Come già abbiamo detto,
          Galileo segue Copernico che considerava il diametro equivalente a 200.000 unità, sicché
          il raggio ne vale 100.000.
          36   Come  si  può  vedere,  a  partire  da  questo  esempio  le  lettere  degli  angoli  non
          corrispondono alla figura precedente. Favaro non commenta il problema. Qui, seguendo
          l’esempio di Drake nella sua edizione inglese, riproduciamo una figura che compare in

          uno  dei  manoscritti  pubblicati  da  Favaro,  con  il  nome  di  «Frammenti  attenenti  al
          Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo» (Opere, VII, p. 528). Drake fa notare
          che questa figura è la stessa usata da Chiaramonti nel De tribus novis stellis,  Cesena
          1628, che Galileo sta criticando.
          37  Favaro corregge questa cifra; tanto nell’originale come in G. si legge 1 in luogo di 21.
          38  Questo 1 non appare né nell’edizione originale, né in G., e lo aggiunge Favaro.
          39  Qui termina il frammento autografo, G., di cui abbiamo già riferito. Si veda la nota 4
          di questa giornata.
          40
              Come  è  noto,  Copernico  si  era  limitato  ad  aumentare  le  dimensioni  del  mondo  in
          misura  sufficiente  perché  l’argomento  della  parallasse  non  fosse  decisivo,  e  a
          commentare:  «Sia  dunque  finito  o  infinito  il  mondo,  lasciamolo  alle  dispute  dei
          naturalisti  (disputationi  physiologorum…)»,  ma  qui  è  importante  riportare  la
          continuazione del testo che suona così: «… avendo per certo che la Terra, conclusa nei
          suoi  poli,  è  limitata  da  una  superficie  sferica.  Perché,  dunque,  esiteremo  ancora  ad
          attribuirle  una  mobilità  conforme  per  natura  alla  sua  forma,  piuttosto  che  estendere
          l’intero mondo, di cui si ignorano i confini, né è possibile conoscerli […]?» (Copernico,
          De revolutionibus, libro I, 7; trad. it. Copernico, 1975, p. 73. Il corsivo è mio). Giordano
          Bruno,  a  partire  da  una  interpretazione  metafisico-religiosa  di  Copernico  che
          trascendeva  i  meri  argomenti  tecnici,  aveva  affermato  decisamente  e  polemicamente
          l’infinità  del  mondo.  Cosa  questa  che,  aggiunta  ad  altre,  gli  costò  la  morte  sul  rogo.

          Naturalmente Galileo lo sapeva molto bene e sapeva anche che, dopo l’avvertimento del
          1616, non era molto prudente continuare su quella strada. Tuttavia, non abbiamo molte
          ragioni  di  pensare  che  fosse  la  paura  a  trattenere  Galileo  da  affermazioni  più  audaci
          sull’infinità e sulla forma del mondo. La sua posizione, infatti, sembra assai simile a
          quella  di  Copernico,  di  cui  nessuno  ha  mai  pensato  che  credesse  all’infinità
          dell’universo, e lo nascondesse. Si veda in merito la nostra Introduzione, pp. 79 ss.
          41  Il tema è trattato da Aristotele in De caelo, I, 5, 271b 1 ss. Già Copernico aveva fatto
          notare, nel passo citato nella nostra nota precedente, che «la [ragione] principale su cui
          si fondano per dimostrare che il cielo è finito è il movimento».



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