Page 617 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
P. 617
con il totale della colonna di destra, ossia 296. Nella colonna di sinistra, però, neppure
con le correzioni introdotte risulta esatto il totale di 216. La somma dei minuti di questa
colonna è 215. Naturalmente, i «540» sommati sono l’equivalente dei 9° moltiplicati per
60, vale a dire convertiti in minuti, come indica la moltiplicazione di destra.
31 Verso la fine della pagina precedente, Galileo aveva scritto nell’autografo G. «tra le
quali impossibili vicinità ce ne son quattro», correggendo poi in tre il numero
nell’edizione a stampa. Qui aveva scritto: Le altre tre sono, qui corretto in Le altre due
sono queste di sotto, e dopo i due accoppiamenti Buschio-Gemma e Reinoldo-Gemma
che compaiono nell’edizione a stampa aveva scritto anche:
32
Benché in questo passo Galileo sembri parlare dell’azimut come di un cerchio
verticale, certo è che nella spiegazione che ne dà subito dopo esso coincide
sostanzialmente con quella che noi daremmo dell’azimut e dell’altezza. Oggi il termine
azimut si riferisce a un valore angolare in un sistema di coordinate definito
dall’orizzonte e dal meridiano locale. L’intersezione dei due determina la linea nordsud.
Prendendo il punto sud come origine e procedendo in senso retrogrado, l’azimut di una
stella è l’arco che va dal punto sud verso la verticale dell’astro. È sempre positivo, e va
da 0° a 360°. Con questa verticale si determina l’altezza – positiva verso lo zenit, dove
sarà di 90°, e negativa verso il nadir, dove sarà di meno di 90° – che è l’altra coordinata
in questo sistema.
33 In realtà, gli orologi usati al tempo di Galileo erano di pochissima utilità in campo
astronomico. Ciò nonostante, nella seconda metà del XVI secolo, sebbene divengano
più numerosi i grandi orologi, non possono certo considerarsi ancora cronometri e
pertanto ci si adatta ancora al «mondo del pressappoco», dell’imprecisione. Ci risulta
che, per misurare tempi brevi, si usava una sorta di clessidra od orologio ad acqua più
primitiva di alcune utilizzate dai greci, come per esempio quelle di Ctesibio. Il metodo
di Galileo consisteva semplicemente nel lasciare cadere l’acqua da un recipiente
attraverso un orifizio abbastanza piccolo, a partire dal momento iniziale del processo
che si desiderava misurare, e chiudendo l’orifizio quando il processo giungeva a
termine. Poi si pesava l’acqua, la quale forniva così una misurazione del tempo.
Comunque, l’orologio come strumento scientifico ebbe la sua remota origine in Galileo
e in Mersenne. La clessidra di Ctesibio rappresentava una possibilità di misurazione del
tempo basata sulla uniformità di un processo; mantenendo costante il livello dell’acqua
nel recipiente forato, si otteneva che questa sgorgasse a velocità costante. Galileo rifletté
su un’altra possibilità a partire dalla scoperta di un processo periodico naturale che si
ripeteva identico a se stesso: le oscillazioni del pendolo. Ignorando i problemi di priorità
e limitandoci a Galileo, possiamo dire che, dopo alcuni tentativi compiuti nel 1634, nel
1641, un anno prima del suo decesso, Galileo pensò all’applicazione del pendolo
all’orologio, di servirsi cioè del pendolo come un orologio. Sulla base delle sue
indicazioni, suo figlio Vincenzio progettò un modello di orologio a pendolo che non
riuscì però a costruire. Un altro disegno di Viviani, che visse con Galileo negli ultimi
mesi della sua vita, giunse, passando per varie mani, a Christian Huygens, nel 1660. In
617